mercoledì 12 febbraio 2020

Rosario Guzzo, benemerenza Club per l'Unesco

Rosario Guzzo, socio benemerito 2019 del Club per l'Unesco.

Solidea Guzzo premiata al Premio Eccellenze 2019 dalla testata giornalistica Castelvetranonews.it

Solidea Guzzo, la nostra cantante e autrice, premiata al Premio Eccellenze del Belìce 2019, per l'impegno nella ricerca e conservazione delle tradizioni popolari siciliane. Manifestazione organizzata dalla testata giornalistica online Castelvetranonews.it svoltasi a Gibellina il 28 dicembre scorso.

giovedì 24 settembre 2015




Il gruppo Fb Sei di partanna se...











EXPO 2015

Castelvetrano news
Presso lo stand selinuntino ad Expo è stato presente in questi giorni il gruppo folk, “Belice folk studio" con lo spettacolo "Lu cantu anticu”, guidato dal maestro partannese, Rosario Guzzo. Il debutto (25 agosto), fra tanti prodotti tipici, le ceramiche di Camastra e tante altre eccellenze nostrane, che non lasciano indifferenti i visitatori.

Ben 3 esibizioni, che hanno riscosso enorme successo. Le esibizioni continueranno domani con altri 2 spettacoli, e infine venerdì, con l’ultimo spettacolo oggi alle 11.00.
Il gruppo è composto oltre dal maestro Guzzo alla chitarra, dalla figlia Solidea al tamburello, Vincenzo Santangelo di Castelvetrano al "fiscaletto" e Roberto Caradonna di Salemi alla fisarmonica.
Con danze, la musica e i nostri canti, la piazzetta della Sicilia all’Expo è conquistata, animata e fatta partecipe.  
Il maestro Guzzo sorride compiaciuto, raccontandoci a telefono, un aneddoto: un gruppo di cinesi cantavano “Vitti na crozza”, in particolare, intonando il ritornello “Tralallallerulallerulallerulalla”. Tanti i nostri conterranei che si avvicinano.
Ed è questo, dice il maestro Guzzo che lo colpisce profondamente: “C’è tanta gente che non viene in Sicilia da tanto tempo, sente e canta, e poi si avvicina per presentarsi”, facendo presente da quale parte della Sicilia viene.
 La certezza del nuovo giorno



…quali strani meccanismi si mettono in moto quando ci troviamo davanti ad una difficoltà, il pensiero divergente da cosa è regolato, la razionalità è soltanto frutto dell’esperienza o è regolata da una forza che non dipende soltanto dal controllo della mente? A tutti è capitato la notte precedente ad un esame, ad un evento particolare, di avere degli incubi, di non riuscire a prendere sonno, vedere le ombre formare  delle strane figure, di sognare ad occhi aperti; nel sogno spesso diventiamo protagonisti di  chissà quali avventure. Ma i sogni sono inconsci! Sono imprevedibili!
Sono desideri irrealizzabili?
Non abbiamo paura di svegliarci, perché, nel subconscio la certezza che il nuovo giorno metterà fine ( nel bene e nel male), ai nostri sogni ci tranquillizza. 



Quella notte, sentivo uno strano rumore provenire dal mare, ho avuto come un brivido che mi attraversava lungo tutta la schiena sono uscito dal mio nascondiglio, mi sentivo come braccato da quello strano rumore. Eppure dovevo essere abituato a  rumori del genere erano ormai  tre mesi da quando la mia imbarcazione era naufragata. Non era la prima volta che, si sentivano le onde infrangersi nella scogliera, in quelle rocce vulcaniche che calavano a picco sul mare del Nord. Però l’odore che si librava nell’aria mi faceva sentire una sensazione strana, mi faceva tornare alla mente vecchi ricordi. Ricordi che ormai cominciavano a dissolversi come la nebbiolina del mattino, come il vapore dei geiser presenti sull’isolotto. Quando fui trascinato dalla corrente, dopo il naufragio, per un  giorno o due ero lì inerte, semi sepolto dalle alghe, in mezzo agli scogli sanguinante per le ferite riportate. Ricordo, quando ripresi conoscenza che… le ombre del monte che sovrastavano lo scoglio mi coprivano già il viso. Mi alzai e vidi alcuni granchietti che correvano qua e là in mezzo ad alcuni tronchi e ai resti della mia barca, una barca che avevo comprato con i risparmi… si, proprio con i risparmi di tutta una vita. Ogni mese quando prendevo la paga, conservavo qualcosa in un salvadanaio, che poi era un vecchio libro “  Il vecchio e il mare”.In mezzo a quelle pagine c’era di tutto: soldi, cartoline, lettere che mi spedivano gli amici….Si l’avevo comprata a Rotterdam quella barca …bellissima, dodici metri e tre alberi. Era usata, ma tenuta bene. Non so da dove mi fosse venuta la passione per il mare. Si, certo andavo al mare, ma soltanto per rilassarmi, mi sedevo lì sulla spiaggia e pensavo, leggevo;  non ero mai stato a pescare con una barca, anche se guardavo sempre con invidia quelli che lo facevano.
…Avevo sempre la speranza che qualcuno mi venisse a cercare, che qualche imbarcazione passasse nelle vicinanze e mi notasse, mi portasse in salvo. Si è vero …come si dice la speranza è sempre l’ultima a morire, e io la morte l’ho vista parecchie volte… Ma quella sera ero convinto che qualcosa sarebbe successo, che qualcosa sarebbe cambiato, sentivo il battito del mio cuore che accelerava sempre più. Ho avuto la sensazione che nell’acqua ci fosse qualcosa di strano, mi sentivo osservato. 
Ebbi la sensazione che una  grossa ombra mi stesse osservando. No.. non è possibile che ci fosse qualcuno in mezzo al mare, qualcosa che stesse là in mezzo alle onde. No!
Ripresi coraggio e ritornai nel mio nascondiglio al riparo degli spruzzi d’acqua.
Mi addormentai sulle alghe secche che mi facevano da materasso…
Ricordo che quando mi  ripresi dal naufragio feci il giro di tutta l’isola,  per rendermi conto del posto dove mi trovavo. Mi resi conto che non c’era nessuno, ero da solo. Dico, non c’era nessuno, nessuno capisci… Mi sono ritornate in mente tutte le letture che feci da studente, si quando andavo a scuola: Robinson Crosue, Mougli, il bambino della giungla ed altre storie fantastiche… che il sig. Julius il mio maestro,  leggeva che sembravano vere. Aveva una voce calda, genuina, si, era proprio una persona sincera, e spontanea.. Mentre leggeva dal suo librone pieno di storie fantastiche, noi scolaretti lo ascoltavamo a bocca aperta senza fiatare. A volte anche lui si stupiva della nostra attenzione, e diceva che: “ è nelle circostanze difficili che si manifesta il valore di una persona, non bisogna mai arrendersi alle difficoltà che si possono incontrare nel cammino della vita”. Quelle parole, mi risuonavano nella mente come una musica, e mi rimbalzavano come una pallina di gomma lanciata contro un muro. Mentre scoraggiato cercavo qualcuno, qualcosa in mezzo a quelle pietre taglienti, sentivo qualcosa, che mi saliva da dentro la pancia, come un senso di vuoto, come un dolore che diventava sempre più forte, mi mancava l’aria, il cuore mi batteva a cento all’ora. Scoppiai a piangere, un pianto isterico, gridavo forte per la rabbia, per la disperazione di trovarmi in un posto privo di vita. D’un tratto alle mie spalle sentii un rumore forte, mi girai terrorizzato lanciando un urlo spaventoso… vidi come una nuvola di vapore che usciva dalla terra. Realizzai che si trattava di un geiser… era uno stupido e puzzoso getto di vapore. Mi accovacciai con la testa in mezzo alle gambe… e scoppiai nuovamente in un pianto, questa volta di liberazione. Percepivo che la mia vita sarebbe stata dura da quel momento in poi. Sentivo sempre più forte le parole del mio insegnante “mai arrendersi…il valore di una persona, il cammino della vita”… Là vicino allo spruzzo di vapore c’era una specie di grotta, non era una vera e propria grotta,  una malformazione della roccia. Notai che in quel punto  i sassi erano caldi rispetto agli altri sassi, anche perché guardando in contro luce si vedeva come una nebbiolina che si levava verso l’alto. Mi avvicinai ed entrai, non era grande ma, abbastanza per ricavarne un rifugio. Il vento era debole, soffiava da Nord ed era freddo. Dentro il rifugio mi sentivo al sicuro avvolto da un tiepido soffio di aria calda che fuoriusciva dalle profondità della terra. Notai, che dalla pietra che fungeva da tetto gocciolava acqua, d’istinto unii le mani, così a cucchiaio, e raccolsi un po’ del liquido, lo portai alla bocca e mi bagnai le labbra, emanava un odore forte di uova marce, era dolce, era acqua potabile. D’un tratto mi ricordai che il giorno prima mi era parso di sentire un suono stridulo come uccelli. Ritornai dove ero naufragato e vidi uno stormo di uccelli appollaiati sulle rocce, altri che planavano  e poi atterravano e lasciavano cadere un pesciolino dalla bocca. Mi nascosi in mezzo a quelle rocce nere come la pece, come la notte più buia,  e cominciai ad osservare il loro comportamento. Saranno stati un centinaio di cavalieri dell’aria, bianchi come un lenzuolo, come il vestitino di un bambino appena nato, li vedevi che prendevano la rincorsa e volavano liberi nell’aria, e poi ritornavano a gustarsi il cibo che pescavano nel mare. Vedere quelle creature mi mise angoscia, ho pensato alla mia condizione, mi trovavo lì, in quel posto in mezzo al mare senza libertà, e probabilmente a causa della voglia di libertà. Si perché io l’ho cercata la mia libertà con  tutte le mie forze, ho cercato di fuggire, volando sulle onde del mare, si proprio il mare, questo maledetto mare che non mi ha voluto, che mi ha negato la libertà. Adesso cosa faccio, come farò a sopravvivere in questo posto così triste e sconsolato e senza cibo?… Caddi in una profonda depressione: la sensazione di fame che sentivo volò via, non mi tormentò più lo stomaco… rimasi lì a guardare quelle creature che svolazzavano nell’aria. Sentii come una musica, dolce, candida, era un’orchestra si proprio un’orchestra di violini. Mi lasciai trasportare dalle note che risuonavano nella mia mente. Più guardavo quegli uccelli volare più sentivo sibilare un suono, sottile, continuo e acuto…sembrava il primo violino dell’orchestra. Era una musica celestiale.
D’un tratto sentii sul mio corpo come una pioggerellina, che diventava sempre più forte, più forte e fui costretto ad alzarmi e cercare un rifugio. Corsi verso la piccola grotta, mi misi al riparo e dopo qualche minuto mi addormentai. Mi svegliai rattrappito, irrigidito, nelle gambe sentivo un formicolio, le dita dei piedi erano come di sughero. Era già buio, mi alzai dolorante ed uscii fuori dal rifugio, mi misi in piedi  sembrava ballassi il twist. Tutto in torno non c’era niente…buio totale, non si vedeva niente, niente luci in lontananza, cominciai a girarmi intorno, e giravo e giravo fino a quando non caddi per terra. Dallo stomaco uscì un urlo silenzioso, un suono afono, era l’ennesimo grido di disperazione. Nel cielo privo di luce in mezzo alle nuvole si intravedeva una paurosa luna, che sembrava mi volesse guardare, forse parlare per dirmi che Lei era lì e non mi avrebbe abbandonato. Io la guardai con gli occhi gonfi di lacrime come per dirgli come fai ad aiutarmi, tu, che sei lì in alto? Tu che come me hai bisogno della luce per esistere, come puoi aiutarmi, come puoi aiutarmi.
La certezza del nuovo giorno mi diede coraggio, ed affrontai la notte carico di speranza perché la luce mi avrebbe dato la soluzione. Non chiusi occhio per tutta la notte, cercai di ricostruire tutto il percorso: “ Sono partito da Rotterdam, due giorni dopo ero già  ad Edimburgo, ho fatto rifornimenti, ho fatto riparare il timone… che buffo… l’operaio mi ha detto che il timone era fuori staffa di tre gradi e che se non l’avessi riparato avrei sbagliato rotta di un miglio ogni cento. Sono riparto alla volta di Rinkobing lungo il 56° parallelo. Avrei dovuto attraversare in due giorni circa, trecentoquaranta miglia, la tempesta mi ha  travolto al secondo giorno, si duecentonovanta miglia, quindi, dovrei essere in territorio danese. Si, certo mi trovo vicino la costa, basta aspettare perché in questo tratto di mare fanno rotta le flotte mercantili tedesche, danesi, norvegesi e inglesi. Certo! Sono in salvo basta aspettare… Per tutta la notte non avevo altri pensieri, appena fatto giorno mi avrebbe tratto in salvo certamente una nave tedesca…o, danese e magari i marinai esperti mi avrebbero preso in giro “ marinaio della domenica, marinai si nasce non si diventa”. Intanto si fece giorno, il mio cuore si rallegrò, la nebbiolina si diradava man mano che i tiepidi raggi di sole illuminavano lo scoglio e il montenero “ così ho chiamato il pizzo di lava più alto, sembrava un enorme foruncolo”. Per farmi notare pensai fosse stato meglio salire nella parte più alta dello scoglio. Mi arrampicai senza difficoltà fino alla cima del montenero, saranno stati cento metri circa. Mi sentivo felice come un ragazzino, orgoglioso di aver scalato la vetta, mi misi in punta di piedi…l’aria fresca del mattino mi accarezzava come la mano di una nonna, era uno spettacolo bellissimo, si vedeva tutto lo scoglio, le onde che biancheggiavano e che si infrangevano sulle rocce, a Est assumevano uno strano colore tra  l’azzurro e il grigio, a Sud l’acqua sembrava cristallina, a Ovest e a Nord il colore dominante era il grigio. A circa un quarto di miglio a  Sud dello scoglio c’era l’acqua che brulicava di pesci e i gabbiani  scendevano in picchiata  a velocità paurosa, e risalivano con in bocca un pesce che si dimenava come un forsennato. Mentre guardavo quel meraviglioso spettacolo ebbi una strana sensazione, guardavo intorno, da Sud a Nord, da Est a Ovest, mancava qualcosa, si! Mancava qualcosa. E che cosa mancava? Era tutto a posto: il mare, gli scogli, le onde, i gabbiani, era un quadretto completo degno di un racconto, di una fiaba…Mi scervellai per… non so quanto tempo, non riuscivo a capire che cosa mancasse… “Ma certo, ho capito cosa manca. IL faro, manca il faro, non c’è un  faro. Ma come è possibile mi trovo in mezzo al Mare del Nord, su uno scoglio e non c’è  niente che segnali la presenza di questo maledetto scoglio, e le navi che transitano in questo tratto di mare prima o poi si trovano davanti la roccia! Si schianteranno! Non è possibile che la flotta mercantile di sei stati possa correre tale pericolo! Non credo che nessuno non abbia mai pensato di segnalare questo scoglio.” Mentre mi stupivo di ciò, il giorno avanzava, in tutta la mattinata non era passata nemmeno una barchetta, niente, nè barche, nè transatlantici. Pensai allora che lo scoglio si trovasse fuori rotta. Intanto mi era venuta fame, erano due giorni che non mangiavo. Be! Non è che vai al ristorante, sullo scoglio non c’era niente neanche resti della mia barca. L’unica cosa commestibile che c’era, si trovava proprio lì  davanti me, solo che aveva le ali. Poi non c’era altro. Anzi no! C’erano i pesci che i gabbiani pescavano e li portavano in mezzo alle rocce, e poi erano crudi. Scesi il più velocemente possibile verso il luogo dove i gabbiani lasciavano i pesci; quando arrivai quasi vicino mi resi conto che stavo facendo una sciocchezza: se mi avvicino tutto d’un colpo, gli uccelli spaventati voleranno? E se volano via perché spaventati dalla mia presenza, e se non faranno più ritorno io come farò? Gli unici che mi possono salvare sono loro, i gabbiani… Devo escogitare un piano affinché non li spaventi. Aspetterò che faccia buio, gli uccelli con il buio non volano, vanno a dormire, si ma, con il buio come faccio a vedere dove dormono, e soprattutto come faccio a vedere dove sono i pesciolini? Intanto credo sia meglio osservare il loro comportamento, poi fissare dove depositano le prede così posso facilmente avvicinarmi. Mentre ero lì ad aspettare ed osservare presi di mira una pozzanghera dove c’erano dei pesci vivi, perché la buca veniva riempita dagli spruzzi provocati dalle onde che si infrangevano sulle rocce. I crampi allo stomaco ripresero con intensità sempre più frequente, mentre osservavo immaginavo come poter mangiare quella manna caduta dal cielo, se togliere le lische, se squamarli, se crudi fossero gustosi. Ancora una volta mi tornò in mente il sig. Julius, come avrebbe affrontato la situazione lui, certo con la sua esperienza avrebbe escogitato un piano sicuro, avrebbe trovato una soluzione più facilmente, sicuramente perché essendo una persona che ha letto tanti libri, avrebbe avuto più possibilità; avrà certamente letto da qualche parte un’avventura simile alla mia, ci sarà stato qualche scrittore che abbia scritto qualche cosa del genere, sarà accaduto a qualche altro. Io nella mia vita sono stato sempre tranquillo, non ho vissuto avventure particolari, non sono  uno che ama andare per i boschi, per le campagne; sono  uno che ha sempre vissuto senza grandi emozioni: si una volta sono caduto con la bicicletta, ma niente di grave. Non sono stato come  Artur Green, quello si che ne ha combinate, ha sempre vissuto in prima fila, sempre a cercare nuove emozioni. Nel mio paese non è che ci fossero grandi cose: una farmacia, un supermercato, un emporio con ferramenta e calzolaio, un negozietto di abbigliamento, un distributore di benzina e un bar. Settecento anime nella campagna a poche miglia  tra la  grande città e il mare, fuori pure dall’autostrada, un luogo tranquillo, dove si vive tranquilli. Durante la primavera, quando i prati cominciavano a inverdire, macchiati dai colori dei fiori, mi mettevo lì seduto davanti alla mia casetta e guardavo le nuvole e le montagne. Nell’aria si libravano profumi talvolta intensi talvolta delicati che mi inebriavano, mi facevano sentire come un bambino dopo aver fatto il bagnetto.
…Ecco nuovamente i crampi allo stomaco, qui in mezzo a queste rocce nere, sudicio, con l’unico odore di uova e pesce marcio a farmi compagnia, ad aspettare che faccia buio  in agguato per depredare dei poveri uccelli ignari delle mie intenzioni. Devo sopravvivere a questa avventura, loro, gli uccelli devono capire che anch’io ho diritto a vivere e  devono aiutarmi… Ma come faccio a farglielo capire, come glielo spiego, e se poi non mi capiscono, magari non capiscono il mio linguaggio, eppure dovrebbero capire il linguaggio degli uomini loro girano il mondo e vedono, ascoltano…. anche se spesso scappano dagli uomini, perché gli uomini non capiscono il loro linguaggio. L’uomo ha cercato in qualche modo di imitarli, be! Qualcuno, come Icaro non c’è riuscito, ma, altri si! Altri sono riusciti, hanno inventato l’aereo! Si, ma, l’aereo dà fastidio agli uccelli, spesso sono nella stessa rotta e poverini devono desistere. Perché mi pongo queste domande, sarà la fame, la  disperazione che mi fa vaneggiare, che mi fa pensare a queste assurdità. Devo concentrarmi, devo essere concentrato se no muoio, e poi il mondo è fatto così “ pesce grosso mangia pesce piccolo”. Appena buio mi sono avvicinato lentamente alla pozza, infilai la mano e presi un pesce che si muoveva ancora. Nessuno si è accorto di niente, come un gatto con passo felpato ritornai al rifugio, tutto contento con la preda nella mano destra che si dimenava e che quasi mi scivolava. Mi sedetti in mezzo alle alghe e guardavo la mia cena, si il mio piatto unico, o l’unico piatto. La luna non era pallida, aveva una luce particolare, rifletteva sulle squame del pesciolino e gli dava un colore magico, non sembrava un semplice pesce, aveva l’aria di uno che soffriva, di un animale che stava per morire. Mi fece pena vederlo soffrire, poi pensai: anche lui sta guardando la mia faccia, e che cosa vede nel mio viso? Certamente vedrà un’uomo che in questo momento sta soffrendo, si, sta patendo la fame ed è stanco. Non esitai ancora e lo appoggiai sopra la pietra più calda nel punto dove usciva l’aria calda del geiser, dopo qualche secondo non si dimenava più, era morto. Riuscii finalmente a mangiare qualcosa, ripetei l’operazione più volte fino a quando lo stomaco finì di borbottare.
Nei giorni successivi riflettei molto. Pensavo, se quello che mi stava accadendo fosse vero o frutto della mia fantasia, cercai di ripercorrere gli ultimi mesi della mia vita, non  notavo dentro di me segni di squilibrio, il mio senno sembrava a posto, non erano allucinazioni, io c’ero veramente su quell’isolotto, veramente ho navigato, non potevano essere fantasie tutte le cose che mi stanno accadendo, sentivo sul mio corpo  fatica,  stanchezza, vedevo il sudiciume, sentivo una puzza forte addosso e su tutto l’isolotto. No! Non poteva essere frutto di allucinazione, di fantasia. Di giorno salivo sul montenero con la speranza di avvistare qualcosa, qualcuno, ma niente, niente di niente, in quel tratto di mare non si vedeva nessuno. Decisi di tenere la mia mente occupata, cercando di scavare dentro i ricordi: “ Quell’ore che soavi modellarono la cara forma ove ogni sguardo indugia le faranno fra poco da tiranne, sfigureranno la regal figura”. Un sonetto di  Shakespeare che recitava spesso la signora Danka. Un giorno mi fece vedere alcune foto di quando era giovane: era bellissima, i suoi occhi erano verde acqua di mare che in mezzo al suo viso liscio e candido sembrava come fosse stata disegnata da un grande pittore. “Come diventerò io quando l’estate della vita farà strada all’inverno, potrò mai restare dentro un sogno, come prigioniero in un cristallo? Il tempo non s’arresta, imperterrito avanzerà senza pietà”. Lei era ancora bellissima, certo il suo viso non era come nella foto, ma aveva fascino, emanava una luce diversa, più calda, diversa dalla fotografia. Aveva paura di non piacere più a suo marito, si sentiva un’altra persona, si guardava sempre allo specchio, provava e riprovava i suoi vecchi vestiti e quando ne sentiva uno stretto si puniva con diete paurose, non stava bene dentro il suo corpo. Io ne ero innamorato fin da quando ero ragazzino, da quando la mattina  le portavo il latte; la guardavo da dietro i cespugli del suo giardino mentre usciva e batteva fuori i tappeti, aveva la pelle bianca e profumata come la schiuma del latte. Si era sposata con il sig. Micol Danka il gestore della stazione di servizio, avevano avuto tre figli, due femmine e un maschio. Erano una famiglia felice. Io le dicevo sempre che non fosse giusto questo suo comportamento, il tempo passa per tutti,  la natura  deve fare il suo corso, non possiamo rincorrere l’eterna giovinezza, l’unica cosa che ci fa sentire sempre giovani e la serenità, la voglia di vivere, anche se le cose non vanno per il verso giusto, dobbiamo sforzarci di essere felici e vedere sempre le cose buone della vita, c’è sempre un altro giorno da vivere intensamente, c’è sempre la certezza di un nuovo giorno e dobbiamo impegnarci a viverlo con gusto e sana voglia di vivere, solo così potremmo essere felici. Lei mi guardava dall’alto della sua bellezza e mi diceva: “ hai ragione, tu parli bene perché sei ancora giovane e non sei prossimo alla tua sera”.  Lei, la signora Danka doveva essere pazzamente innamorata di suo marito  Il rifiuto che  la signora aveva  della realtà mi faceva star male, mi faceva sentire un essere inutile; pensavo sempre alla stessa cosa:  far stare bene la signora Danka.Quando fui più grandicello però, mi resi conto che sarebbe stato un amore impossibile quello tra me e la signora, anche perché, lei era sempre più innamorata di suo marito e questo non mi lasciava nessuna speranza. Poi, in quel periodo era arrivata, Roxanne, una bellissima ragazza bruna dagli occhi verdi mia coetanea, che veniva con i  nonni a trascorrere i fine settimana nella casa vicino al ruscello. Che bei ricordi, e quante ne ho combinate per attirare la sua attenzione, che buffo che ero, comprare il pesci e far finta di pescarli nel ruscello. Adesso che ci penso: lei lo sapeva, eppure non si burlava di me…ma!
…Il mondo è bello o brutto in base a come lo vediamo, o lo vogliamo vedere, è lo specchio del nostro profondo io, come vivere una vita a nascondersi dietro l’essere o il non essere, scappare continuamente alla realtà, cercare giustificazioni per tutto. No! Non dobbiamo preoccuparci di apparire soltanto, per poi scioglierci come neve al sole davanti alla prima difficoltà…. “ Cosa ci sto a fare il questo posto: vuoto, privo di vita, su un’isola deserta, dove non c’è anima viva?” Un posto che non esiste, dove esisto solo io…oppure è la parte nascosta della mia anima, che mi tormenta …che vuole mettermi alla prova? …Perché poi, mettermi alla prova, perché avere paura di vivere?
… E’ necessario affrontare i rischi e le incognite che la vita ci  offre, questo ci permette di crescere, di conoscere, imparare, e soprattutto vivere bene…che è meglio che vivere
.

Rosario Guzzo
Pinocchio










Testo teatrale liberamente tratto dall’omonima fiaba di Carlo Collodi




























Testo rielaborato da Rosario Guzzo




Personaggi:


nonna,bambino,Geppetto, fata, Pinocchio, gatto, volpe, Lucignolo, grillo parlante, folla di ragazzini, un coro di almeno venti elementi.



Scene:
1° casa di Geppetto: casa povera con un tavolo da lavoro da falegname, un camino con il fuoco disegnato,un letto, un quadro, una finestra.

2° bosco

3° casa della fata: arredamento a bomboniera rosa confetto, tende, tappeti quadri ecc.
oggetti: naso posticcio.

4° paese dei balocchi: case, insegne luminose e quant’altro possa servire per un parco giochi.

5°  pancia della balena: oggetti vari, cassette per la frutta, sagoma di barca naufragata, un letto, una giubba e un cappello da marinaio.






























Pinocchio

 In proscenio: si apre con u n balletto (possibilmente musiche di Bennato dall’album il burattino senza fili)
Si apre il sipario

 A rredamento: una sedia a dondolo e una sediolina. I due resteranno sempre in scena, posizionati in un angolo del palcoscenico,  illuminati nel momento in cui saranno protagonisti dell’azione scenica.

Nonna:            (prende per mano il bambino) Oggi ti racconterò una nuova fiaba.
Bambino:        Si nonna,le fiabe che mi racconti mi piacciono tanto.
Nonna:                       C’era una volta un re, che aveva una figlia molto carina.Vivevano in una reggia incantevole….No! Questa fiaba no! Non posso raccontarti sempre di re e regine…… di palazzi e ville.
                       Al mondo, caro il mio bambino, non esistono soltanto palazzi e principi azzurri che vanno a salvare principesse, ma ci sono persone umili che lavorano onestamente, che si guadagnano da vivere a fatica. Il mondo è fatto di gente che si accontenta di poco, molto poco.
Bambino:        Si nonna…racconta, racconta….
Nonna:            In un paesino situato su una collina abitava un falegname poverissimo.La sua casa era molto fredda pensa che il fuoco nel caminetto era soltanto disegnato!. Egli attingeva l’acqua  alla fontana del paese e la sera per illuminare la casa usava le candele .
Bambino:        Nonna, non aveva acqua calda in casa?
Nonna:            No, mio caro. Viveva da solo. Era stato sposato con una bellissima donna che purtroppo era morta giovane senza lasciare figli. Il falegname l’aveva amata tantissimo, la ricordava sempre, teneva infatti un  suo grande ritratto appeso ad una parete  dell’unica stanza della sua casa sempre adorno di fiori freschi.
Bambino:        Mi piace,nonna, continua…Ma, ma,..come si chiamava il falegname?
Nonna:                       Geppetto, il falegname si chiamava “Mastro Geppetto“ così lo chiamavano in paese.Lavorava sempre da mattina a sera, ma più invecchiava più desiderava  avere un figlio.Questo desiderio sembrava irrealizzabile. Una sera riflettendo ebbe un’idea. Un suo amico, qualche giorno prima, gli aveva regalato un pezzo di legno dalla  forma strana. Non potendo utilizzarlo per costruire tavoli o sedie, pensò di  creare un burattino…sai quelli di legno manovrati, tramite cordicelle, da un burattinaio che dà loro anche la voce.
Bambino:        Li conosco, nonna. Con la scuola ho assistito ad uno spettacolo di   
                        burattini…continua
Nonna:            Mastro Geppetto prese l’occorrente e cominciò a lavorare…
( Si apre il sipario e sulla scena compaiono Geppetto con in mano un burattino quasi finito e  con alcuni arnesi necessari per completarlo, canticchia una canzoncina)
                        (Arredamento di una casa molto povera, pochi oggetti in scena: un tavolo da lavoro, un ceppo, arnesi
                              da falegname ecc.)
Geppetto:       Bene, bene, sembri un bel burattino! Rifinisco il tuo piede e sei a posto…No..no,   mancano ancora gli occhi, la bocca, le orecchie, il naso. Che bello, come sono contento. ( rivolgendosi al quadro) Vedi cara  sembra vero, sembra un bambino..il nostro bambino, il bambino che abbiamo sempre desiderato. ( continua ad armeggiare, intanto fischietta una canzoncina.Poi stanco decide di riposare). Sono stanco ho lavorato per tutto il giorno, adesso mi riposerò e poi domani finirò il mio bambi…burattino…( Guarda il burattino) devo trovarti un nome, ci vuole un nome, ma non uno qualsiasi…ti chiamerò  Andrea come  mio padre.( Si sdraia sul letto) No, Andrea non è un nome da burattino, un burattino deve avere un nome particolare..un nome….un nome…Pinocchio, lo chiamerò Pinocch…( si addormenta)

                             (Si illumina la nonna e il bambino, si abbassano le luci sulla scena.)

Nonna:            Vedi bambino mio, l’amore, la bontà e l’umiltà sono qualità che Geppetto possedeva tutte e per questo fu premiato; quella notte accadde un evento straordinario: dal cielo scese  la fata Turchina che compì una magia…………
Bambino:        Dai continua! Sono curioso di sapere cosa succederà.
                             (La scena si sposta nuovamente al centro del palco, si abbassano le luci sui due personaggi..
                              Mentre Geppetto dorme una luce illumina la stanza entra la fata che con la sua bacchetta magica   
                              compie il miracolo.Entra in scena un bambino che sostituisce il burattino.)
                                Una musica new age fa da sottofondo per tutta la scena della fata
Fata:                           Pinocchio, Pinocchio svegliati, svegliati .(Pinocchio comincia a svegliarsi, la fata lo  scuote.) Dai, sveglia, svegliati poltrone!.
Pinocchio:       (Intanto si alza stropicciandosi gli occhi) Ma, ma dove sono..sono..sono dove ma..tu chi sei?…( Si tocca le mani, i piedi, il viso.) ma..cosa sono queste cose?
Fata:                Sono le tue mani, i tuoi piedi e il tuo viso..
Pinocchio:       A  cosa mi servono?..cosa ci faccio..faccio ci cosa..
Fata:                I piedi servono per camminare, le mani per toccare e prendere gli oggetti…
Pinocchio:       (Intanto si alza e cade a terra) Ho caduto..(si guarda i piedi) non funzionano i miei piedi, ohi che dolore…
Fata:                            Dai alzati, non ti sei fatto niente..su coraggio (lo aiuta a mettersi in piedi, Pinocchio traballa un pò).
Pinocchio:       (Vede Geppetto che dorme) E questo cos’è…con tutti quei peli sul viso… con i piedi grandi e le mani grosse ( va per toccarlo)…
Fata:                           No, aspetta non  svegliarlo, lascialo dormire…quello è il tuo papà.. Si chiama Geppetto e tu lo devi rispettare. Devi ascoltarlo, seguire i suoi consigli e i suoi insegnamenti.
Pinocchio:       Dovrò fare tutto ciò che vorrà?
Fata:                Si, proprio tutto.
Pinocchio:       Voglio tornare un burattino..burattino tornare voglio io!!.
Fata:                           Pinocchio,ascolta, Geppetto è un brav’uomo, ti ha sempre desiderato, sono certa che  sarai lo scopo della sua vita. Non ti maltratterà mai, ti amerà come un figlio .
Pinocchio:       Si. Ti credo, però  io non lo conosco.
Fata:                           Lo conoscerai, lo conoscerai stai tranquillo. Adesso io devo andare..tu però  comportati bene perché altrimente  ti farò ritornare burattino…ah. Dimenticavo! Non dire mai bugie perché per ogni bugia  il tuo naso si allungherà.
Pinocchio:       ( Si tocca il naso con paura) Voglio tornare burattino!!
Fata:                Pinocchio Pinocchio comportati bene e sarai felice…ciao ciao.

                            (Intanto Pinocchio comincia ad esplorare la casa, guarda sotto il tavolo,dentro il camino,sotto il letto.  
                             Poi rivolto  al quadro e illuminandosi in viso).
Pinocchio:       Ma tu sei la fata…allora non sei andata via, sei rimasta a sorvegliarmi!!

                       (Intanto Geppetto si sveglia e Pinocchio si nasconde sotto il tavolo)

Geppetto:        Ah che bella dormita mi sono fatto ( si stropiccia gli occhi, sbadiglia un pò. Saltella un po’, si avvicina al caminetto come per riscaldarsi le mani) Che freschetto che c’è stamattina. (Prende una bacinella si lava il viso rabbrividendo! Intanto Pinocchio da sotto il tavolo lo guarda mimando i movimenti)( sottofondo con la  stessa musichetta che canticchiava Geppetto)
Brr.Brr… che acqua fresca! Ci voleva per svegliarmi, mi sento già meglio…dunque dove ero rimasto ieri sera…ah sì devo completara il volto del mio burattino. (prende gli attrezzi  canticchiando una canzone e cercando il burattino. Non lo trova.) Ma dove l’ho messo, eppure era qui sul tavolo, sarà che dormo ancora ( si lava nuovamente il viso) adesso si che mi sono svegliato…(Cerca nuovamente ma non riesce a trovarlo) No, non è possibile ieri sera l’ho lasciato qui ( rivolgendosi al quadro). Tu non sai niente…Ti ricordi che ieri sera prima di addormentarmi gli ho dato pure un nome…dov’è il nostro bambino?

 

                       (Intanto Pinocchio esce da sotto il tavolo,  si mette dietro  Geppetto e mima i suoi movimenti.)

Pinocchio:       Sono qui, dietro di te.
Geppetto:        (Ssempre rivolto al quadro) Ma che dici cara, non ho capito bene.
Pinocchio:       Sono qui, dietro di te papà.
Geppetto:        Papà? (si gira di scatto, Pinocchio indietreggia e cade) Ma… tu …chi sei?
Pinocchio:       Sono….sono… Pinocchio.
Geppetto:        Pinocchio!…il mio burattino?
Pinocchio:       Si, papà il tuo burattino!
Geppetto:        Ma tu sei un bambino, non sei un burattino..Dai alzati,  ti riporto a casa, i  tuoi genitori ti staranno cercando..saranno in pena per te.
Pinocchio:        No, no  sei tu i miei genitori!
Geppetto:        Ma cosa stai dicendo..non si dicono le bugie.
Pinocchio:       Io non dico  bugie..vedi il mio naso non si è allungato.
Geppetto:        Ma che dici?
Pinocchio:       Questa notte è venuta una fata che ha fatto una magia: mi ha trasformato in bambino e poi è andata via dicendomi…
Geppetto:        Ma…Allora tu sei mio figlio, il mio bambino…Vieni, vieni fra le mie braccia..Ma tu stai  tremando dal freddo, hai bisogno di coprirti (prende la sua giacca e gliela mette sulle spalle tutto contento saltella per la gioia).
                             (Cambio luci.L’attenzione si sposta sulla nonna….)
Nonna:            Geppetto, per la gioia di essere padre non si domandò come tutto ciò potesse accadere… parlarono per tutto il giorno e la notte…Da buon genitore si preoccupò dell’istruzione del proprio figlio, decise di mandarlo a scuola, ma per comprare l’abbecedario fu costretto a vendere l’unica giacca che aveva. Pinocchio una mattina uscì di casa per andare a scuola. Quel giorno nel paese c’era  lo spettacolo di  Mangiafuoco, famoso burattinaio.
Bambino:        Ma, nonna Pinocchio non era più un burattino.
Nonna:            Si, questo è vero, ma Pinocchio era un bambino curioso, l’idea di assistere allo spettacolo lo affascinava e non avendo il denaro necessario per acquistare il biglietto vendette il libro. Entrato nel teatrino fu riconosciuto dai  burattini che recitavano, facendo adirare il burbero Mangiafuoco.
Bambino:        Povero Pinocchio ma come fecero a riconoscerlo come burattino ora che era un bambino?
Nonna:            Devi sapere che questa è una fiaba, e come in  tutte le fiabe tutto può accadere. Nelle fiabe accadono eventi fantastici…e impensabili. Mangiafuoco, infatti, invece di punire Pinocchio per lo scompiglio provocato in teatro…sentita la sua storia, si intenerì e addirittura gli regalò cinque monete d’oro per portarle a Geppetto.
Bambino:        Che brava persona è stata Mangiafuoco.
Nonna:                        Vedi a volte l’apparenza inganna, le persone non sono cattive, sono le circostanze che
                         le fanno apparire tali…
Bambino:          Però, Mangiafuoco è stato un benefattore.
Nonna:            Ascolta e capirai che non è sempre così…Purtroppo il nostro Pinocchio era un bambino ingenuo, non aveva nessuna esperienza della vita…infatti sulla strada del ritorno a casa si imbattè in due loschi individui:Il gatto e la volpe.

                             (La scena si sposta nuovamente al centro del palco, la scenografia è rappresentata da un bosco)

Pinocchio:       ( Percorrendo la strada di casa,canticchia tutto contento con il denaro in mano, ma viene avvistato dai due malfattori: il gatto e la volpe) Appena racconterò tutto a papà sarà contento, gli comprerò un bel vestito nuovo, una stufa per scaldarci e il petrolio per il lume.
                             (Intanto dietro un cespuglio i due desiderano impossessarsi di quelle monete ed escogitano un piano per
                               derubare l’ingenuo bambino.)       
Gatto:                         Guarda guarda, quando si dice la buona sorte, proprio stamattina che abbiamo finito il contante…
Volpe:             Ecco……. davanti a noi si materializza il nostro sogno..
( Si avvicinano)
Gatto:                         (Fingendo di zoppicare). Buona giornata, caro bambino..Beato tu che puoi camminare e saltellare.
(Pinocchio nasconde il denaro nel cappellino)
Pinocchio:       Buona giornata a voi.
Volpe:              (camminando con la schiena curva). Noi siamo molto lenti a camminare,  siamo vecchietti e stanchi..prima di sera dobbiamo raggiungere il campo dei miracoli per raccogliere il frutto del nostro lavoro…
Gatto:             Si, si, se arriviamo tardi rischiamo di perdere il raccolto.
Pinocchio:       Un raccolto? Non succederà niente, lo raccoglierete domani,  mica scappa via.
Volpe:                         Allora non hai capito, stiamo parlando del campo dei miracoli…non di un campo di broccoli.
Gatto:                         Nel campo dei miracoli nasce tutto ciò che di solito non si semina nella terra comune.
Volpe:                         Per esempio: tu hai poco  denaro, lo vai a seminare, lo innaffi e dopo poco tempo nasce una pianta che ti dà molto denaro.
Gatto:             Addirittura si quadruplica
Volpe:             Ma no, si centuplica….Tu hai denaro?
Gatto:             Vieni con noi ti daremo la possibilità di diventare ricco..
Volpe:             Ricchissimo..puoi comprare una casa grande…
Gatto:             Grandissima..e farai felice il tuo papà.
Pinocchio:       Ma, voi siete sicuri sicuri..
Volpe:             Certo che ne siamo sicuri..
Gatto:             Eccome se ne siamo sicuri.

                             (La scena ritorna nuovamente sulla nonna e il bambino)

Nonna:            Pinocchio che non era stupido capì che c’era qualcosa di losco  nei due personaggi e tentò di fuggire. Tutto fu inutile, i due malfattori lo raggiunsero, lo legarono e gli rubarono tutto il denaro, lasciandolo in mezzo al bosco.
Bambino:        Allora la fiaba finisce qui?
Nonna:            No, mio caro, a questo punto intervenne la fata che lo liberò permettendogli di continuare il cammino. Strada facendo Pinocchio ancora timoroso per la brutta avventura,vide una bellissima casa, vi entrò per chiedere conforto e con meraviglia scoprì che la padrona di casa era la  fata Turchina. A lei raccontò la sua disavventura, arricchendola di bugie. Come per incanto il naso si allungava ad ogni bugia..

                       (La scena ritorna sul palco, scenografia la casa della fata;Pinocchio  seduto su un letto  la fata è seduta   

                             vicino).

Pinocchio:       Quando sono arrivato a scuola ho ripetuto tutta la lezione di storia al sig. maestro ( il naso si allunga un po’) poi ho eseguito un compito scritto così bene che il sig. maestro mi ha dato dieci( il naso cresceva ancora),  alla lavagna ho scritto..(il naso cresceva a dismisura e Pinocchio se ne accorse) Ma, cosa mi sta succedendo? Il mio naso è diventato lungo lungo (piange) adesso come faccio..
Fata:                           Pinocchio Pinocchio, le bugie non si dicono, hai dimenticato cosa ti ho detto quando eri un burattino? Tu lo sai che hai fatto tanto soffrire il tuo papà che poverino ti sta cercando dappertutto?
Pinocchio:       (piangendo) Io non volevo, io non volevo vendere l’abbecedario per andare da Mangiafuoco (il naso si rimpicciolisce) con il denaro che mi ha dato volevo comprare una giacca nuova fiammante a mio papà (il naso rimpicciolisce ancora) poi il gatto e la volpe mi hanno ingannato e derubato, io non posso farci niente..(piange e si dispera).
Fata:                Vedi che il tuo naso è ritornato come prima? Si vive meglio ad essere sinceri  e leali e tu caro Pinocchio devi promettermi che  da oggi in poi ti comporterai bene con tutti, andrai a scuola e non dirai mai più le bugie.
Pinocchio:       Si, fata  lo prometto, sarò un bravo bambino.
Nonna:            L’indomani Pinocchio si recò a scuola…con un bel vestito e un paio di scarpe nuove…era contento ed aveva  buone intenzioni…voleva imparare a leggere e a scrivere . Pensava poi di ritrovare Geppetto che per cercarlo  era incappato in brutte avventure.
Bambino:        Ma, scusa nonna, adesso la fata può aiutarlo, Pinocchio ha deciso: vuole diventare un bravo bambino…
Nonna:                        Aspetta, non avere fretta…la fata sa quando  e come intervenire…
                        Caro il mio bel bambino, devi sapere che non è possibile modificare  il corso del nostro destino. Pinocchio deve crescere, deve fare le sue esperienze anche quelle pericolose.
Bambino:        Ma, se dovesse avere bisogno la fata lo aiuterà?
Nonna :           Certo che interverrà, ma  senza farsi scoprire.
Bambino:        La Fata come farà a sapere che Pinocchio ha bisogno di aiuto, chi l’avviserà ?
Nonna:            Devi sapere che un grillo speciale accompagna sempre Pinocchio, lo guida lungo il suo cammino e in tutto ciò che fa.
Bambino:        Dunque il grillo riferisce tutto alla fata?
Nonna :           Proprio così. …Ho perso il filo del discorso…cosa stavo dicendo?
Bambino:        Che Pinocchio si recò a scuola.
Nonna :           In classe conobbe i suoi compagni: Paolo, Francesco, Luigi, Domenico………. e Lucignolo. Lucignolo era un ragazzo molto indisciplinato, non aveva voglia di studiare e si comportava male. Purtroppo diventarono buoni amici. Lucignolo una mattina decise di marinare la scuola e coinvolse Pinocchio:volevano visitare  il famoso paese dei balocchi.
Bambino :       Il paese dei balocchi? Perché esiste un paese dei balocchi!
Nonna :           Nella realtà non esiste, ma noi stiamo raccontando una fiaba. Il paese dei balocchi era un posto bellissimo, c’erano giochi di ogni tipo,  gelati, dolci di ogni gusto..ma, soprattutto non c’era la scuola.
                       (Si cambiano le luci e la scena si sposta al centro  del palco. In scena sono Pinocchio, Lucignolo ed altri 
 bambini che giocano, cantano e ridono, altri si burlano della maestra) ( sottofondo musicale con una     marcetta allegra)
Lucignolo :     Pinocchio dimmi quanto fa tre per due?
Pinocchio :      Sei.
Lucignolo:      Bene l’asino che sei. Aaaah!
(Ballano e girano in tondo facendo un gran baccano. Tutti scherzano in un angolo del palcoscenico.Entra in scena il grillo.)


Grillo:                         (Rivolto al pubblico) Buona sera a tutti ai belli e ai brutti, vecchi e bambini, ammogliati e signorini. Io sono il grillo, sono la coscienza di Pinocchio, ho il compito di guidarlo per la dritta via, ora però… sono stanco di Pinocchio  fa sempre di testa sua, è testardo come un mulo, non mi vuole ascoltare ( canta la canzone del grillo: sono un grillo canterino…). Il Paese dei balocchi è un mondo irreale, tutta un’illusione, e come tale  destinato non soltanto a finire, ma a finire in malo modo. Infatti nelle bevande consumate durante le feste c’era una sostanza malefica che trasformava i bambini in ciuchini…si avete capito bene, proprio in asinelli.
                        (Mentre il grillo parla i bambini cominciano a trasformarsi  ragliano, indossando   
                               lunghe orecchie di asino .)
Vedete cosa sta succedendo? (sul palco si crea una gran confusione tutti   scappano, resta al centro della scena  soltanto Pinocchio che piange)
Pinocchio:       Papà, papà,  cosa ho combinato…aiutami tu per favore…fata tu che sei come una mamma..aiutami io non volevo..come faccio ora..Mi sono fatto tentare ancora una volta..perché non mi hai aiutato (piange disperatamente).
                             (Ritornano in scena la nonna e il bambino.Iil grillo si avvicina ai due ed ascolta non visto 
                              scimmiottando la loro conversazione.)
Bambino :       Che brutta fine ha fatto…(con voce triste)povero Pinocchio…come farà adesso?… La fata poteva aiutarlo…non è giusto però.
Nonna :           Non dare la colpa alla fata, è stato Pinocchio a cacciarsi nei guai, lei lo aveva indirizzato bene, si è comportata come una vera madre. Devi sapere che i guai per Pinocchio non sono ancora finiti, anzi…
Bambino :       Ancora guai?
Nonna :           Ancora, ancora…(cambiando tono) Pinocchio, diventato asinello è stato venduto ad un circo equestre che poi lo ha rivenduto ad un mercante che aveva deciso  di fare con la sua pelle un tamburo…
Bambino :       Ma, nonna è tremendo quello che è successo al povero Pinocchio…quasi quasi non mi piace più questa fiaba.
Nonna :           Ma tu cosa credi che nella realtà quando una persona commette uno sbaglio poi si possa risolvere tutto in un batter d’occhio? Senza pagarne le conseguenze  sperando  nell’intervento di una fata. No! Mio caro non è così, la vita purtroppo molto spesso è crudele…ma, ritorniamo al nostro Pinocchio…
Il mercante lo legò  per un piede e lo buttò in mare per farlo affogare…
Bambino :       Ma nonna questo è troppo..lo ha ucciso.
Nonna :           Se non fosse intervenuta la provvidenza………..
Bambino :       La fata.
Nonna :           La fata con l’aiuto del grillo.
                       (intanto il grillo si entusiasma e mima movimenti da eroe).
Un branco di pesci ha divorato la corda che legava Pinocchio liberandolo. Mentre passava  una enorme balena che vedendolo  pensò di farne un boccone.
Bambino e grillo insieme :      Adesso basta, questo è troppo, hai esagerato.
Nonna:            Tranquilli, tranquilli, proprio adesso viene il bello.
Bambino e grillo: Meno male.
Nonna :           (rivolta al pubblico) Diteglielo voi chi incontra dentro la pancia della balena.               Il Pubblico:          Geppetto!
Nonna:            Hai sentito,  conoscono la fiaba.
                           (Si apre nuovamente la scena..l’ambiente è la pancia della balena, dove ci sono cassette di frutta e 
                            suppellettili varie,disteso su un giaciglio c’è Geppetto.)
                       (Pinocchio entra inciampando si guarda attorno spaventato)
Pinocchio :      Ma dove sono finito? Che roba è questa (dà un calcio alle cassette, si muove circospetto) ma..ma..ma questa è la pancia della balena, mi ha mangiato, e adesso come faccio, come faccio ad uscire, questa ora mi digerisce (grida disperato e piange)…Cosa ho fatto per meritare tutto questo?, aaah! che nervi  ho, mi prenderei a schiaffi, a pugni (mima tutti i movimenti), a calci (cade a terra)…perché non ho dato ascolto al grillo, alla fata, al contadino, al maestro, ai miei compagni (con espressione da burlone) mii quanta gente che non si fa gli affari suoi (ricomincia a piangere)…(Ad un tratto vede una candela accesa che illumina Geppetto).
Ma, cosa c’è…(si alza, scivola e cade di nuovo guarda meglio)   questo chi è? Non sono solo c’è qualcuno, sono salvo, sono salvo…(si rialza ancora una volta, ricade, scivola;finalmente raggiunge il letto e si accorge che l’uomo è Geppetto).
Pinocchio:       Papà…sei tu? Proprio tu? ( intanto Geppetto si sveglia e mentre incredulo si stropiccia gli occhi Pinocchio lo abbraccia forte. )
Geppetto:        Pinocchio, pinocchino mio,  tu qui?…
                           ( si abbracciano e saltellano,  rotolando per terra.)
                         SSSSSSSS!Fermo!Fai piano! Se facciamo rumore la balena si sveglia e poi sono guai…se si mette a nuotare mi viene il mal di mare.
Pinocchio:       ( parlando in fretta) Papà cosa  fai tu qui? Come sei venuto a finire dentro la pancia della balena e perché sei vestito così? (era vestito con una giubba da ammiraglio)
Geppetto:        Calma, una domanda per volta, parli a raffica come mia suocera…calma..calma..( parla veloce) piuttosto tu cosa  fai  qui, dove sei stato durante tutto questo tempo? Cosa hai fatto?  Come mai hai la coda d’asino?
Pinocchio:       Meno male che ero io  a fare le domande a raffica come tua suocera.
Geppetto e Pinocchio insieme :  Basta !Non litighiamo più  ora che ci siamo ritrovati
                       ( si fanno una risata insieme)

Geppetto:        Che bello essere con te..be! Certo non è il massimo, non è casa nostra…però è      
                        accogliente non ci manca niente, il pesce è sempre fresco…si fa per dire ..certo si balla      
                        un po’ ogni tanto ma pazienza, speriamo di non essere digeriti.
Pinocchio:       Ma papà..siamo dentro la pancia di una balena..rischiamo di essere digeriti da un momento all’altro, non vediamo il sole, le cose belle che la natura ci regala, siamo inutili, dobbiamo uscire da qui, dobbiamo giocare, ballare, cantare (preso dalla foga inciampa e la balena comincia a svegliarsi, comincia a starnutire, tutto balla)
Geppetto:        Hai visto si è svegliata, adesso comincia a muoversi, e si balla eccome se si balla.
Pinocchio:       Vieni dobbiamo uscire da qui, subito ( nel trambusto i due escono di scena)
Bambino:        (tutto d’un fiato) Ma nonna, sono riusciti a fuggire, a scappare dalla pancia della balena, a salvarsi, come hanno fatto a raggiungere la riva?
Nonna:            Anche tu fai le domande a raffica? Che succede in questa fiaba c’è un virus logorroico.
Bambino:        Ma, nonna non cambiare discorso rispondi non saranno mica morti?
Nonna:            Basta, calmati, non è successo niente di grave anzi, la fata Turchina ha mandato un enorme pesce tonno che ha caricato Pinocchio e Geppetto sulle pinne dorsali e li ha trasportati a riva. (soddisfatta) Ohh! Finalmente è finita.
Bambino:        Nonna non è ancora finita.Racconta…
Nonna:            Come non è finita..certo che è finita, sono certissima.
Bambino:        Manca la parola magica.
Nonna:                        La parola magica?
Bambino:        (  cantilenando) Nonnaaa?
(Si alzano, vanno verso il pubblico  coinvolgendolo)
Insieme:          E vissero…(invitando il pubblico)
Tutti:               Felici e contenti.

                       (Canto Finale)