domenica 27 settembre 2015
giovedì 24 settembre 2015
EXPO 2015
Castelvetrano news
Presso lo stand selinuntino ad Expo è stato presente in questi giorni il gruppo folk, “Belice folk studio" con lo spettacolo "Lu cantu anticu”, guidato dal maestro partannese, Rosario Guzzo. Il debutto (25 agosto), fra tanti prodotti tipici, le ceramiche di Camastra e tante altre eccellenze nostrane, che non lasciano indifferenti i visitatori.
Ben 3 esibizioni, che hanno riscosso enorme successo. Le esibizioni continueranno domani con altri 2 spettacoli, e infine venerdì, con l’ultimo spettacolo oggi alle 11.00.
Il gruppo è composto oltre dal maestro Guzzo alla chitarra, dalla figlia Solidea al tamburello, Vincenzo Santangelo di Castelvetrano al "fiscaletto" e Roberto Caradonna di Salemi alla fisarmonica.
Con danze, la musica e i nostri canti, la piazzetta della Sicilia all’Expo è conquistata, animata e fatta partecipe.
Il maestro Guzzo sorride compiaciuto, raccontandoci a telefono, un aneddoto: un gruppo di cinesi cantavano “Vitti na crozza”, in particolare, intonando il ritornello “Tralallallerulallerulallerulalla”. Tanti i nostri conterranei che si avvicinano.
Ed è questo, dice il maestro Guzzo che lo colpisce profondamente: “C’è tanta gente che non viene in Sicilia da tanto tempo, sente e canta, e poi si avvicina per presentarsi”, facendo presente da quale parte della Sicilia viene.
La certezza del nuovo giorno
…quali
strani meccanismi si mettono in moto quando ci troviamo davanti ad una
difficoltà, il pensiero divergente da cosa è regolato, la razionalità è
soltanto frutto dell’esperienza o è regolata da una forza che non dipende
soltanto dal controllo della mente? A tutti è capitato la notte precedente ad
un esame, ad un evento particolare, di avere degli incubi, di non riuscire a
prendere sonno, vedere le ombre formare
delle strane figure, di sognare ad occhi aperti; nel sogno spesso
diventiamo protagonisti di chissà quali
avventure. Ma i sogni sono inconsci! Sono imprevedibili!
Sono
desideri irrealizzabili?
Non
abbiamo paura di svegliarci, perché, nel subconscio la certezza che il nuovo
giorno metterà fine ( nel bene e nel male), ai nostri sogni ci
tranquillizza.
Quella notte,
sentivo uno strano rumore provenire dal mare, ho avuto come un brivido che mi
attraversava lungo tutta la schiena sono uscito dal mio nascondiglio, mi
sentivo come braccato da quello strano rumore. Eppure dovevo essere abituato
a rumori del genere erano ormai tre mesi da quando la mia imbarcazione era
naufragata. Non era la prima volta che, si sentivano le onde infrangersi nella
scogliera, in quelle rocce vulcaniche che calavano a picco sul mare del Nord.
Però l’odore che si librava nell’aria mi faceva sentire una sensazione strana,
mi faceva tornare alla mente vecchi ricordi. Ricordi che ormai cominciavano a
dissolversi come la nebbiolina del mattino, come il vapore dei geiser presenti
sull’isolotto. Quando fui trascinato dalla corrente, dopo il naufragio, per
un giorno o due ero lì inerte, semi
sepolto dalle alghe, in mezzo agli scogli sanguinante per le ferite riportate.
Ricordo, quando ripresi conoscenza che… le ombre del monte che sovrastavano lo
scoglio mi coprivano già il viso. Mi alzai e vidi alcuni granchietti che
correvano qua e là in mezzo ad alcuni tronchi e ai resti della mia barca, una
barca che avevo comprato con i risparmi… si, proprio con i risparmi di tutta
una vita. Ogni mese quando prendevo la paga, conservavo qualcosa in un
salvadanaio, che poi era un vecchio libro “
Il vecchio e il mare”.In mezzo a quelle pagine c’era di tutto: soldi,
cartoline, lettere che mi spedivano gli amici….Si l’avevo comprata a Rotterdam
quella barca …bellissima, dodici metri e tre alberi. Era usata, ma tenuta bene.
Non so da dove mi fosse venuta la passione per il mare. Si, certo andavo al
mare, ma soltanto per rilassarmi, mi sedevo lì sulla spiaggia e pensavo,
leggevo; non ero mai stato a pescare con
una barca, anche se guardavo sempre con invidia quelli che lo facevano.
…Avevo sempre la speranza che
qualcuno mi venisse a cercare, che qualche imbarcazione passasse nelle
vicinanze e mi notasse, mi portasse in salvo. Si è vero …come si dice la
speranza è sempre l’ultima a morire, e io la morte l’ho vista parecchie volte…
Ma quella sera ero convinto che qualcosa sarebbe successo, che qualcosa sarebbe
cambiato, sentivo il battito del mio cuore che accelerava sempre più. Ho avuto
la sensazione che nell’acqua ci fosse qualcosa di strano, mi sentivo
osservato.
Ebbi la sensazione che una grossa ombra mi stesse osservando. No.. non è
possibile che ci fosse qualcuno in mezzo al mare, qualcosa che stesse là in
mezzo alle onde. No!
Ripresi coraggio e ritornai nel mio
nascondiglio al riparo degli spruzzi d’acqua.
Mi addormentai sulle alghe secche
che mi facevano da materasso…
Ricordo che quando mi ripresi dal naufragio feci il giro di tutta
l’isola, per rendermi conto del posto
dove mi trovavo. Mi resi conto che non c’era nessuno, ero da solo. Dico, non
c’era nessuno, nessuno capisci… Mi sono ritornate in mente tutte le letture che
feci da studente, si quando andavo a scuola: Robinson Crosue, Mougli, il
bambino della giungla ed altre storie fantastiche… che il sig. Julius il mio
maestro, leggeva che sembravano vere.
Aveva una voce calda, genuina, si, era proprio una persona sincera, e
spontanea.. Mentre leggeva dal suo librone pieno di storie fantastiche, noi
scolaretti lo ascoltavamo a bocca aperta senza fiatare. A volte anche lui si
stupiva della nostra attenzione, e diceva che: “ è nelle circostanze difficili
che si manifesta il valore di una persona, non bisogna mai arrendersi alle
difficoltà che si possono incontrare nel cammino della vita”. Quelle parole, mi
risuonavano nella mente come una musica, e mi rimbalzavano come una pallina di
gomma lanciata contro un muro. Mentre scoraggiato cercavo qualcuno, qualcosa in
mezzo a quelle pietre taglienti, sentivo qualcosa, che mi saliva da dentro la
pancia, come un senso di vuoto, come un dolore che diventava sempre più forte,
mi mancava l’aria, il cuore mi batteva a cento all’ora. Scoppiai a piangere, un
pianto isterico, gridavo forte per la rabbia, per la disperazione di trovarmi
in un posto privo di vita. D’un tratto alle mie spalle sentii un rumore forte,
mi girai terrorizzato lanciando un urlo spaventoso… vidi come una nuvola di
vapore che usciva dalla terra. Realizzai che si trattava di un geiser… era uno
stupido e puzzoso getto di vapore. Mi accovacciai con la testa in mezzo alle
gambe… e scoppiai nuovamente in un pianto, questa volta di liberazione.
Percepivo che la mia vita sarebbe stata dura da quel momento in poi. Sentivo
sempre più forte le parole del mio insegnante “mai arrendersi…il valore di una
persona, il cammino della vita”… Là vicino allo spruzzo di vapore c’era una
specie di grotta, non era una vera e propria grotta, una malformazione della roccia. Notai che in
quel punto i sassi erano caldi rispetto
agli altri sassi, anche perché guardando in contro luce si vedeva come una
nebbiolina che si levava verso l’alto. Mi avvicinai ed entrai, non era grande
ma, abbastanza per ricavarne un rifugio. Il vento era debole, soffiava da Nord
ed era freddo. Dentro il rifugio mi sentivo al sicuro avvolto da un tiepido soffio
di aria calda che fuoriusciva dalle profondità della terra. Notai, che dalla
pietra che fungeva da tetto gocciolava acqua, d’istinto unii le mani, così a
cucchiaio, e raccolsi un po’ del liquido, lo portai alla bocca e mi bagnai le
labbra, emanava un odore forte di uova marce, era dolce, era acqua potabile.
D’un tratto mi ricordai che il giorno prima mi era parso di sentire un suono
stridulo come uccelli. Ritornai dove ero naufragato e vidi uno stormo di
uccelli appollaiati sulle rocce, altri che planavano e poi atterravano e lasciavano cadere un
pesciolino dalla bocca. Mi nascosi in mezzo a quelle rocce nere come la pece,
come la notte più buia, e cominciai ad
osservare il loro comportamento. Saranno stati un centinaio di cavalieri
dell’aria, bianchi come un lenzuolo, come il vestitino di un bambino appena
nato, li vedevi che prendevano la rincorsa e volavano liberi nell’aria, e poi
ritornavano a gustarsi il cibo che pescavano nel mare. Vedere quelle creature
mi mise angoscia, ho pensato alla mia condizione, mi trovavo lì, in quel posto
in mezzo al mare senza libertà, e probabilmente a causa della voglia di
libertà. Si perché io l’ho cercata la mia libertà con tutte le mie forze, ho cercato di fuggire,
volando sulle onde del mare, si proprio il mare, questo maledetto mare che non
mi ha voluto, che mi ha negato la libertà. Adesso cosa faccio, come farò a
sopravvivere in questo posto così triste e sconsolato e senza cibo?… Caddi in
una profonda depressione: la sensazione di fame che sentivo volò via, non mi
tormentò più lo stomaco… rimasi lì a guardare quelle creature che svolazzavano
nell’aria. Sentii come una musica, dolce, candida, era un’orchestra si proprio
un’orchestra di violini. Mi lasciai trasportare dalle note che risuonavano
nella mia mente. Più guardavo quegli uccelli volare più sentivo sibilare un
suono, sottile, continuo e acuto…sembrava il primo violino dell’orchestra. Era
una musica celestiale.
D’un tratto sentii sul mio corpo
come una pioggerellina, che diventava sempre più forte, più forte e fui
costretto ad alzarmi e cercare un rifugio. Corsi verso la piccola grotta, mi
misi al riparo e dopo qualche minuto mi addormentai. Mi svegliai rattrappito,
irrigidito, nelle gambe sentivo un formicolio, le dita dei piedi erano come di
sughero. Era già buio, mi alzai dolorante ed uscii fuori dal rifugio, mi misi
in piedi sembrava ballassi il twist.
Tutto in torno non c’era niente…buio totale, non si vedeva niente, niente luci
in lontananza, cominciai a girarmi intorno, e giravo e giravo fino a quando non
caddi per terra. Dallo stomaco uscì un urlo silenzioso, un suono afono, era
l’ennesimo grido di disperazione. Nel cielo privo di luce in mezzo alle nuvole
si intravedeva una paurosa luna, che sembrava mi volesse guardare, forse
parlare per dirmi che Lei era lì e non mi avrebbe abbandonato. Io la guardai
con gli occhi gonfi di lacrime come per dirgli come fai ad aiutarmi, tu, che
sei lì in alto? Tu che come me hai bisogno della luce per esistere, come puoi
aiutarmi, come puoi aiutarmi.
La certezza del nuovo giorno mi
diede coraggio, ed affrontai la notte carico di speranza perché la luce mi
avrebbe dato la soluzione. Non chiusi occhio per tutta la notte, cercai di
ricostruire tutto il percorso: “ Sono partito da Rotterdam, due giorni dopo ero
già ad Edimburgo, ho fatto rifornimenti,
ho fatto riparare il timone… che buffo… l’operaio mi ha detto che il timone era
fuori staffa di tre gradi e che se non l’avessi riparato avrei sbagliato rotta
di un miglio ogni cento. Sono riparto alla volta di Rinkobing lungo il 56°
parallelo. Avrei dovuto attraversare in due giorni circa, trecentoquaranta
miglia, la tempesta mi ha travolto al
secondo giorno, si duecentonovanta miglia, quindi, dovrei essere in territorio
danese. Si, certo mi trovo vicino la costa, basta aspettare perché in questo
tratto di mare fanno rotta le flotte mercantili tedesche, danesi, norvegesi e
inglesi. Certo! Sono in salvo basta aspettare… Per tutta la notte non avevo
altri pensieri, appena fatto giorno mi avrebbe tratto in salvo certamente una
nave tedesca…o, danese e magari i marinai esperti mi avrebbero preso in giro “
marinaio della domenica, marinai si nasce non si diventa”. Intanto si fece
giorno, il mio cuore si rallegrò, la nebbiolina si diradava man mano che i
tiepidi raggi di sole illuminavano lo scoglio e il montenero “ così ho chiamato
il pizzo di lava più alto, sembrava un enorme foruncolo”. Per farmi notare
pensai fosse stato meglio salire nella parte più alta dello scoglio. Mi
arrampicai senza difficoltà fino alla cima del montenero, saranno stati cento
metri circa. Mi sentivo felice come un ragazzino, orgoglioso di aver scalato la
vetta, mi misi in punta di piedi…l’aria fresca del mattino mi accarezzava come
la mano di una nonna, era uno spettacolo bellissimo, si vedeva tutto lo scoglio,
le onde che biancheggiavano e che si infrangevano sulle rocce, a Est assumevano
uno strano colore tra l’azzurro e il
grigio, a Sud l’acqua sembrava cristallina, a Ovest e a Nord il colore
dominante era il grigio. A circa un quarto di miglio a Sud dello scoglio c’era l’acqua che brulicava
di pesci e i gabbiani scendevano in
picchiata a velocità paurosa, e
risalivano con in bocca un pesce che si dimenava come un forsennato. Mentre
guardavo quel meraviglioso spettacolo ebbi una strana sensazione, guardavo
intorno, da Sud a Nord, da Est a Ovest, mancava qualcosa, si! Mancava qualcosa.
E che cosa mancava? Era tutto a posto: il mare, gli scogli, le onde, i
gabbiani, era un quadretto completo degno di un racconto, di una fiaba…Mi
scervellai per… non so quanto tempo, non riuscivo a capire che cosa mancasse…
“Ma certo, ho capito cosa manca. IL faro, manca il faro, non c’è un faro. Ma come è possibile mi trovo in mezzo
al Mare del Nord, su uno scoglio e non c’è
niente che segnali la presenza di questo maledetto scoglio, e le navi
che transitano in questo tratto di mare prima o poi si trovano davanti la
roccia! Si schianteranno! Non è possibile che la flotta mercantile di sei stati
possa correre tale pericolo! Non credo che nessuno non abbia mai pensato di segnalare
questo scoglio.” Mentre mi stupivo di ciò, il giorno avanzava, in tutta la
mattinata non era passata nemmeno una barchetta, niente, nè barche, nè
transatlantici. Pensai allora che lo scoglio si trovasse fuori rotta. Intanto
mi era venuta fame, erano due giorni che non mangiavo. Be! Non è che vai al
ristorante, sullo scoglio non c’era niente neanche resti della mia barca.
L’unica cosa commestibile che c’era, si trovava proprio lì davanti me, solo che aveva le ali. Poi non
c’era altro. Anzi no! C’erano i pesci che i gabbiani pescavano e li portavano
in mezzo alle rocce, e poi erano crudi. Scesi il più velocemente possibile
verso il luogo dove i gabbiani lasciavano i pesci; quando arrivai quasi vicino
mi resi conto che stavo facendo una sciocchezza: se mi avvicino tutto d’un
colpo, gli uccelli spaventati voleranno? E se volano via perché spaventati
dalla mia presenza, e se non faranno più ritorno io come farò? Gli unici che mi
possono salvare sono loro, i gabbiani… Devo escogitare un piano affinché non li
spaventi. Aspetterò che faccia buio, gli uccelli con il buio non volano, vanno
a dormire, si ma, con il buio come faccio a vedere dove dormono, e soprattutto
come faccio a vedere dove sono i pesciolini? Intanto credo sia meglio osservare
il loro comportamento, poi fissare dove depositano le prede così posso
facilmente avvicinarmi. Mentre ero lì ad aspettare ed osservare presi di mira
una pozzanghera dove c’erano dei pesci vivi, perché la buca veniva riempita
dagli spruzzi provocati dalle onde che si infrangevano sulle rocce. I crampi
allo stomaco ripresero con intensità sempre più frequente, mentre osservavo
immaginavo come poter mangiare quella manna caduta dal cielo, se togliere le
lische, se squamarli, se crudi fossero gustosi. Ancora una volta mi tornò in
mente il sig. Julius, come avrebbe affrontato la situazione lui, certo con la
sua esperienza avrebbe escogitato un piano sicuro, avrebbe trovato una
soluzione più facilmente, sicuramente perché essendo una persona che ha letto
tanti libri, avrebbe avuto più possibilità; avrà certamente letto da qualche
parte un’avventura simile alla mia, ci sarà stato qualche scrittore che abbia
scritto qualche cosa del genere, sarà accaduto a qualche altro. Io nella mia
vita sono stato sempre tranquillo, non ho vissuto avventure particolari, non
sono uno che ama andare per i boschi,
per le campagne; sono uno che ha sempre
vissuto senza grandi emozioni: si una volta sono caduto con la bicicletta, ma
niente di grave. Non sono stato come
Artur Green, quello si che ne ha combinate, ha sempre vissuto in prima
fila, sempre a cercare nuove emozioni. Nel mio paese non è che ci fossero
grandi cose: una farmacia, un supermercato, un emporio con ferramenta e
calzolaio, un negozietto di abbigliamento, un distributore di benzina e un bar.
Settecento anime nella campagna a poche miglia
tra la grande città e il mare,
fuori pure dall’autostrada, un luogo tranquillo, dove si vive tranquilli.
Durante la primavera, quando i prati cominciavano a inverdire, macchiati dai
colori dei fiori, mi mettevo lì seduto davanti alla mia casetta e guardavo le
nuvole e le montagne. Nell’aria si libravano profumi talvolta intensi talvolta
delicati che mi inebriavano, mi facevano sentire come un bambino dopo aver
fatto il bagnetto.
…Ecco nuovamente i crampi allo
stomaco, qui in mezzo a queste rocce nere, sudicio, con l’unico odore di uova e
pesce marcio a farmi compagnia, ad aspettare che faccia buio in agguato per depredare dei poveri uccelli
ignari delle mie intenzioni. Devo sopravvivere a questa avventura, loro, gli
uccelli devono capire che anch’io ho diritto a vivere e devono aiutarmi… Ma come faccio a farglielo
capire, come glielo spiego, e se poi non mi capiscono, magari non capiscono il
mio linguaggio, eppure dovrebbero capire il linguaggio degli uomini loro girano
il mondo e vedono, ascoltano…. anche se spesso scappano dagli uomini, perché
gli uomini non capiscono il loro linguaggio. L’uomo ha cercato in qualche modo
di imitarli, be! Qualcuno, come Icaro non c’è riuscito, ma, altri si! Altri sono
riusciti, hanno inventato l’aereo! Si, ma, l’aereo dà fastidio agli uccelli,
spesso sono nella stessa rotta e poverini devono desistere. Perché mi pongo
queste domande, sarà la fame, la
disperazione che mi fa vaneggiare, che mi fa pensare a queste assurdità.
Devo concentrarmi, devo essere concentrato se no muoio, e poi il mondo è fatto
così “ pesce grosso mangia pesce piccolo”. Appena buio mi sono avvicinato
lentamente alla pozza, infilai la mano e presi un pesce che si muoveva ancora.
Nessuno si è accorto di niente, come un gatto con passo felpato ritornai al
rifugio, tutto contento con la preda nella mano destra che si dimenava e che
quasi mi scivolava. Mi sedetti in mezzo alle alghe e guardavo la mia cena, si
il mio piatto unico, o l’unico piatto. La luna non era pallida, aveva una luce
particolare, rifletteva sulle squame del pesciolino e gli dava un colore
magico, non sembrava un semplice pesce, aveva l’aria di uno che soffriva, di un
animale che stava per morire. Mi fece pena vederlo soffrire, poi pensai: anche
lui sta guardando la mia faccia, e che cosa vede nel mio viso? Certamente vedrà
un’uomo che in questo momento sta soffrendo, si, sta patendo la fame ed è
stanco. Non esitai ancora e lo appoggiai sopra la pietra più calda nel punto
dove usciva l’aria calda del geiser, dopo qualche secondo non si dimenava più,
era morto. Riuscii finalmente a mangiare qualcosa, ripetei l’operazione più
volte fino a quando lo stomaco finì di borbottare.
Nei giorni successivi riflettei
molto. Pensavo, se quello che mi stava accadendo fosse vero o frutto della mia
fantasia, cercai di ripercorrere gli ultimi mesi della mia vita, non notavo dentro di me segni di squilibrio, il
mio senno sembrava a posto, non erano allucinazioni, io c’ero veramente su
quell’isolotto, veramente ho navigato, non potevano essere fantasie tutte le
cose che mi stanno accadendo, sentivo sul mio corpo fatica,
stanchezza, vedevo il sudiciume, sentivo una puzza forte addosso e su
tutto l’isolotto. No! Non poteva essere frutto di allucinazione, di fantasia.
Di giorno salivo sul montenero con la speranza di avvistare qualcosa, qualcuno,
ma niente, niente di niente, in quel tratto di mare non si vedeva nessuno.
Decisi di tenere la mia mente occupata, cercando di scavare dentro i ricordi: “
Quell’ore che soavi modellarono la cara forma ove ogni sguardo indugia le
faranno fra poco da tiranne, sfigureranno la regal figura”. Un sonetto di Shakespeare che recitava spesso la signora
Danka. Un giorno mi fece vedere alcune foto di quando era giovane: era
bellissima, i suoi occhi erano verde acqua di mare che in mezzo al suo viso
liscio e candido sembrava come fosse stata disegnata da un grande pittore.
“Come diventerò io quando l’estate della vita farà strada all’inverno, potrò
mai restare dentro un sogno, come prigioniero in un cristallo? Il tempo non
s’arresta, imperterrito avanzerà senza pietà”. Lei era ancora bellissima, certo
il suo viso non era come nella foto, ma aveva fascino, emanava una luce
diversa, più calda, diversa dalla fotografia. Aveva paura di non piacere più a
suo marito, si sentiva un’altra persona, si guardava sempre allo specchio,
provava e riprovava i suoi vecchi vestiti e quando ne sentiva uno stretto si
puniva con diete paurose, non stava bene dentro il suo corpo. Io ne ero innamorato
fin da quando ero ragazzino, da quando la mattina le portavo il latte; la guardavo da dietro i
cespugli del suo giardino mentre usciva e batteva fuori i tappeti, aveva la
pelle bianca e profumata come la schiuma del latte. Si era sposata con il sig.
Micol Danka il gestore della stazione di servizio, avevano avuto tre figli, due
femmine e un maschio. Erano una famiglia felice. Io le dicevo sempre che non
fosse giusto questo suo comportamento, il tempo passa per tutti, la natura
deve fare il suo corso, non possiamo rincorrere l’eterna giovinezza,
l’unica cosa che ci fa sentire sempre giovani e la serenità, la voglia di
vivere, anche se le cose non vanno per il verso giusto, dobbiamo sforzarci di
essere felici e vedere sempre le cose buone della vita, c’è sempre un altro
giorno da vivere intensamente, c’è sempre la certezza di un nuovo giorno e
dobbiamo impegnarci a viverlo con gusto e sana voglia di vivere, solo così
potremmo essere felici. Lei mi guardava dall’alto della sua bellezza e mi
diceva: “ hai ragione, tu parli bene perché sei ancora giovane e non sei
prossimo alla tua sera”. Lei, la signora
Danka doveva essere pazzamente innamorata di suo marito Il rifiuto che la signora aveva della realtà mi faceva star male, mi faceva
sentire un essere inutile; pensavo sempre alla stessa cosa: far stare bene la signora Danka.Quando fui
più grandicello però, mi resi conto che sarebbe stato un amore impossibile
quello tra me e la signora, anche perché, lei era sempre più innamorata di suo
marito e questo non mi lasciava nessuna speranza. Poi, in quel periodo era
arrivata, Roxanne, una bellissima ragazza bruna dagli occhi verdi mia coetanea,
che veniva con i nonni a trascorrere i
fine settimana nella casa vicino al ruscello. Che bei ricordi, e quante ne ho combinate
per attirare la sua attenzione, che buffo che ero, comprare il pesci e far
finta di pescarli nel ruscello. Adesso che ci penso: lei lo sapeva, eppure non
si burlava di me…ma!
…Il mondo è bello o brutto in
base a come lo vediamo, o lo vogliamo vedere, è lo specchio del nostro profondo
io, come vivere una vita a nascondersi dietro l’essere o il non essere,
scappare continuamente alla realtà, cercare giustificazioni per tutto. No! Non
dobbiamo preoccuparci di apparire soltanto, per poi scioglierci come neve al
sole davanti alla prima difficoltà…. “ Cosa ci sto a fare il questo posto:
vuoto, privo di vita, su un’isola deserta, dove non c’è anima viva?” Un posto
che non esiste, dove esisto solo io…oppure è la parte nascosta della mia anima,
che mi tormenta …che vuole mettermi alla prova? …Perché poi, mettermi alla
prova, perché avere paura di vivere?
… E’ necessario affrontare i
rischi e le incognite che la vita ci
offre, questo ci permette di crescere, di conoscere, imparare, e
soprattutto vivere bene…che è meglio che vivere
.
Rosario Guzzo
Pinocchio
Testo
teatrale liberamente tratto dall’omonima fiaba di Carlo Collodi
Testo
rielaborato da Rosario Guzzo
Personaggi:
nonna,bambino,Geppetto, fata, Pinocchio, gatto, volpe, Lucignolo,
grillo parlante, folla di ragazzini, un coro di almeno venti elementi.
Scene:
1° casa di Geppetto: casa povera con un tavolo da lavoro da falegname,
un camino con il fuoco disegnato,un letto, un quadro, una finestra.
2° bosco
3° casa della fata: arredamento a bomboniera rosa confetto, tende,
tappeti quadri ecc.
oggetti: naso posticcio.
4° paese dei balocchi: case, insegne luminose e quant’altro possa
servire per un parco giochi.
5° pancia della balena: oggetti
vari, cassette per la frutta, sagoma di barca naufragata, un letto, una giubba
e un cappello da marinaio.
Pinocchio
In proscenio: si apre con u n balletto
(possibilmente musiche di Bennato dall’album il burattino senza fili)
Si apre il sipario
A rredamento: una
sedia a dondolo e una sediolina. I due resteranno sempre in scena, posizionati
in un angolo del palcoscenico,
illuminati nel momento in cui saranno protagonisti dell’azione scenica.
Nonna: (prende per mano il bambino) Oggi ti racconterò una nuova
fiaba.
Bambino: Si nonna,le fiabe che mi racconti mi piacciono tanto.
Nonna: C’era una volta un re, che aveva una
figlia molto carina.Vivevano in una reggia incantevole….No! Questa fiaba no!
Non posso raccontarti sempre di re e regine…… di palazzi e ville.
Al mondo, caro il mio bambino, non
esistono soltanto palazzi e principi azzurri che vanno a salvare principesse,
ma ci sono persone umili che lavorano onestamente, che si guadagnano da vivere
a fatica. Il mondo è fatto di gente che si accontenta di poco, molto poco.
Bambino: Si nonna…racconta, racconta….
Nonna: In un paesino
situato su una collina abitava un falegname poverissimo.La sua casa era molto
fredda pensa che il fuoco nel caminetto era soltanto disegnato!. Egli attingeva
l’acqua alla fontana del paese e la sera
per illuminare la casa usava le candele .
Bambino: Nonna, non aveva acqua calda in casa?
Nonna: No, mio caro.
Viveva da solo. Era stato sposato con una bellissima donna che purtroppo era
morta giovane senza lasciare figli. Il falegname l’aveva amata tantissimo, la
ricordava sempre, teneva infatti un suo
grande ritratto appeso ad una parete
dell’unica stanza della sua casa sempre adorno di fiori freschi.
Bambino: Mi piace,nonna, continua…Ma, ma,..come si chiamava il
falegname?
Nonna: Geppetto, il falegname si chiamava
“Mastro Geppetto“ così lo chiamavano in paese.Lavorava sempre da mattina a
sera, ma più invecchiava più desiderava
avere un figlio.Questo desiderio sembrava irrealizzabile. Una sera
riflettendo ebbe un’idea. Un suo amico, qualche giorno prima, gli aveva
regalato un pezzo di legno dalla forma
strana. Non potendo utilizzarlo per costruire tavoli o sedie, pensò di creare un burattino…sai quelli di legno
manovrati, tramite cordicelle, da un burattinaio che dà loro anche la voce.
Bambino: Li conosco, nonna. Con la scuola ho assistito ad uno
spettacolo di
burattini…continua
Nonna: Mastro Geppetto prese l’occorrente e cominciò a lavorare…
( Si apre il
sipario e sulla scena compaiono Geppetto con in mano un burattino quasi finito
e con alcuni arnesi necessari per
completarlo, canticchia una canzoncina)
(Arredamento di una casa molto povera, pochi oggetti in
scena: un tavolo da lavoro, un ceppo, arnesi
da falegname ecc.)
Geppetto: Bene, bene,
sembri un bel burattino! Rifinisco il tuo piede e sei a posto…No..no, mancano ancora gli occhi, la bocca, le
orecchie, il naso. Che bello, come sono contento. (
rivolgendosi al quadro) Vedi cara
sembra vero, sembra un bambino..il nostro bambino, il bambino che
abbiamo sempre desiderato. ( continua ad armeggiare, intanto fischietta
una canzoncina.Poi stanco decide di riposare). Sono stanco ho lavorato per tutto il giorno, adesso mi riposerò
e poi domani finirò il mio bambi…burattino…( Guarda il burattino)
devo trovarti un nome, ci vuole un nome, ma non uno qualsiasi…ti chiamerò Andrea come
mio padre.( Si sdraia sul letto) No, Andrea non è un nome da burattino,
un burattino deve avere un nome particolare..un nome….un nome…Pinocchio, lo
chiamerò Pinocch…( si addormenta)
(Si illumina la nonna e il bambino, si abbassano le
luci sulla scena.)
Nonna: Vedi bambino
mio, l’amore, la bontà e l’umiltà sono qualità che Geppetto possedeva tutte e
per questo fu premiato; quella notte accadde un evento straordinario: dal cielo
scese la fata Turchina che compì una
magia…………
Bambino: Dai continua! Sono curioso di sapere cosa succederà.
(La scena si
sposta nuovamente al centro del palco, si abbassano le luci sui due
personaggi..
Mentre Geppetto
dorme una luce illumina la stanza entra la fata che con la sua bacchetta
magica
compie il
miracolo.Entra in scena un bambino che sostituisce il burattino.)
Una musica new age fa da sottofondo per tutta
la scena della fata
Fata: Pinocchio,
Pinocchio svegliati, svegliati .(Pinocchio comincia a svegliarsi, la fata lo scuote.) Dai, sveglia, svegliati
poltrone!.
Pinocchio: (Intanto si
alza stropicciandosi gli occhi) Ma, ma dove sono..sono..sono dove
ma..tu chi sei?…( Si tocca le mani, i piedi, il viso.) ma..cosa sono queste
cose?
Fata: Sono le tue mani, i tuoi piedi e il tuo viso..
Pinocchio: A cosa mi
servono?..cosa ci faccio..faccio ci cosa..
Fata: I piedi servono per camminare, le mani per toccare e
prendere gli oggetti…
Pinocchio: (Intanto si
alza e cade a terra) Ho caduto..(si guarda i piedi) non funzionano i miei
piedi, ohi che dolore…
Fata: Dai alzati, non ti sei fatto
niente..su coraggio (lo aiuta a mettersi in piedi, Pinocchio traballa un
pò).
Pinocchio: (Vede Geppetto
che dorme) E questo cos’è…con tutti quei peli sul viso… con i piedi
grandi e le mani grosse ( va per toccarlo)…
Fata: No,
aspetta non svegliarlo, lascialo
dormire…quello è il tuo papà.. Si chiama Geppetto e tu lo devi rispettare. Devi
ascoltarlo, seguire i suoi consigli e i suoi insegnamenti.
Pinocchio: Dovrò fare tutto ciò che vorrà?
Fata: Si, proprio tutto.
Pinocchio: Voglio tornare un burattino..burattino
tornare voglio io!!.
Fata: Pinocchio,ascolta,
Geppetto è un brav’uomo, ti ha sempre desiderato, sono certa che sarai lo scopo della sua vita. Non ti
maltratterà mai, ti amerà come un figlio .
Pinocchio: Si. Ti credo, però io
non lo conosco.
Fata: Lo
conoscerai, lo conoscerai stai tranquillo. Adesso io devo andare..tu però comportati bene perché altrimente ti farò ritornare burattino…ah. Dimenticavo!
Non dire mai bugie perché per ogni bugia
il tuo naso si allungherà.
Pinocchio: ( Si tocca il naso con paura) Voglio tornare
burattino!!
Fata: Pinocchio Pinocchio comportati bene e sarai
felice…ciao ciao.
(Intanto Pinocchio
comincia ad esplorare la casa, guarda sotto il tavolo,dentro il camino,sotto il
letto.
Poi rivolto al quadro e illuminandosi in viso).
Pinocchio: Ma tu sei la fata…allora non sei andata
via, sei rimasta a sorvegliarmi!!
(Intanto Geppetto si sveglia e Pinocchio si nasconde
sotto il tavolo)
Geppetto: Ah che bella dormita mi sono fatto ( si stropiccia
gli occhi, sbadiglia un pò. Saltella un po’, si avvicina al caminetto come per
riscaldarsi le mani) Che freschetto che c’è stamattina. (Prende una
bacinella si lava il viso rabbrividendo! Intanto Pinocchio da sotto il tavolo lo
guarda mimando i movimenti)( sottofondo con la
stessa musichetta che canticchiava Geppetto)
Brr.Brr… che acqua fresca! Ci voleva per svegliarmi, mi sento già
meglio…dunque dove ero rimasto ieri sera…ah sì devo completara il volto del mio
burattino. (prende gli attrezzi canticchiando una canzone e cercando il
burattino. Non lo trova.) Ma dove l’ho messo, eppure era qui sul tavolo,
sarà che dormo ancora ( si lava nuovamente il viso) adesso si che mi sono
svegliato…(Cerca
nuovamente ma non riesce a trovarlo) No, non è possibile ieri sera
l’ho lasciato qui ( rivolgendosi al quadro). Tu non sai
niente…Ti ricordi che ieri sera prima di addormentarmi gli ho dato pure un
nome…dov’è il nostro bambino?
(Intanto Pinocchio esce da sotto il tavolo, si mette dietro Geppetto e mima i suoi movimenti.)
Pinocchio: Sono qui, dietro di te.
Geppetto: (Ssempre rivolto al quadro) Ma che dici
cara, non ho capito bene.
Pinocchio: Sono qui, dietro di te papà.
Geppetto: Papà? (si gira di scatto, Pinocchio indietreggia e cade)
Ma… tu …chi sei?
Pinocchio: Sono….sono… Pinocchio.
Geppetto: Pinocchio!…il mio burattino?
Pinocchio: Si, papà il tuo burattino!
Geppetto: Ma tu sei un
bambino, non sei un burattino..Dai alzati,
ti riporto a casa, i tuoi
genitori ti staranno cercando..saranno in pena per te.
Pinocchio: No,
no sei tu i miei genitori!
Geppetto: Ma cosa stai dicendo..non si dicono le bugie.
Pinocchio: Io non dico bugie..vedi il mio naso non si è allungato.
Geppetto: Ma che dici?
Pinocchio: Questa notte è
venuta una fata che ha fatto una magia: mi ha trasformato in bambino e poi è
andata via dicendomi…
Geppetto: Ma…Allora tu sei
mio figlio, il mio bambino…Vieni, vieni fra le mie braccia..Ma tu stai tremando dal freddo, hai bisogno di coprirti (prende la
sua giacca e gliela mette sulle spalle tutto contento saltella per la gioia).
(Cambio
luci.L’attenzione si sposta sulla nonna….)
Nonna: Geppetto, per la gioia di essere
padre non si domandò come tutto ciò potesse accadere… parlarono per tutto il
giorno e la notte…Da buon genitore si preoccupò dell’istruzione del proprio
figlio, decise di mandarlo a scuola, ma per comprare l’abbecedario fu costretto
a vendere l’unica giacca che aveva. Pinocchio una mattina uscì di casa per
andare a scuola. Quel giorno nel paese c’era
lo spettacolo di Mangiafuoco,
famoso burattinaio.
Bambino: Ma, nonna Pinocchio non era più un burattino.
Nonna: Si, questo è
vero, ma Pinocchio era un bambino curioso, l’idea di assistere allo spettacolo
lo affascinava e non avendo il denaro necessario per acquistare il biglietto
vendette il libro. Entrato nel teatrino fu riconosciuto dai burattini che recitavano, facendo adirare il burbero
Mangiafuoco.
Bambino: Povero Pinocchio
ma come fecero a riconoscerlo come burattino ora che era un bambino?
Nonna: Devi sapere che
questa è una fiaba, e come in tutte le
fiabe tutto può accadere. Nelle fiabe accadono eventi fantastici…e impensabili.
Mangiafuoco, infatti, invece di punire Pinocchio per lo scompiglio provocato in
teatro…sentita la sua storia, si intenerì e addirittura gli regalò cinque
monete d’oro per portarle a Geppetto.
Bambino: Che brava persona è stata Mangiafuoco.
Nonna: Vedi a volte l’apparenza inganna, le persone
non sono cattive, sono le circostanze che
le fanno apparire
tali…
Bambino: Però, Mangiafuoco è
stato un benefattore.
Nonna: Ascolta e
capirai che non è sempre così…Purtroppo il nostro Pinocchio era un bambino
ingenuo, non aveva nessuna esperienza della vita…infatti sulla strada del
ritorno a casa si imbattè in due loschi individui:Il gatto e la volpe.
(La scena si sposta nuovamente al centro del palco, la
scenografia è rappresentata da un bosco)
Pinocchio: ( Percorrendo la strada di casa,canticchia tutto
contento con il denaro in mano, ma viene avvistato dai due malfattori: il gatto
e la volpe) Appena racconterò tutto a papà sarà contento, gli
comprerò un bel vestito nuovo, una stufa per scaldarci e il petrolio per il
lume.
(Intanto dietro
un cespuglio i due desiderano impossessarsi di quelle monete ed escogitano un
piano per
derubare
l’ingenuo bambino.)
Gatto: Guarda guarda, quando si
dice la buona sorte, proprio stamattina che abbiamo finito il contante…
Volpe: Ecco……. davanti a noi si materializza il nostro sogno..
(
Si avvicinano)
Gatto: (Fingendo di
zoppicare). Buona giornata, caro bambino..Beato tu che puoi
camminare e saltellare.
(Pinocchio
nasconde il denaro nel cappellino)
Pinocchio: Buona giornata a voi.
Volpe: (camminando con la schiena curva). Noi
siamo molto lenti a camminare, siamo
vecchietti e stanchi..prima di sera dobbiamo raggiungere il campo dei miracoli
per raccogliere il frutto del nostro lavoro…
Gatto: Si, si, se arriviamo tardi rischiamo di perdere il
raccolto.
Pinocchio: Un raccolto? Non succederà niente, lo
raccoglierete domani, mica scappa via.
Volpe: Allora
non hai capito, stiamo parlando del campo dei miracoli…non di un campo di
broccoli.
Gatto: Nel
campo dei miracoli nasce tutto ciò che di solito non si semina nella terra
comune.
Volpe:
Per esempio: tu hai poco denaro, lo vai
a seminare, lo innaffi e dopo poco tempo nasce una pianta che ti dà molto
denaro.
Gatto: Addirittura si quadruplica
Volpe: Ma no, si centuplica….Tu hai denaro?
Gatto: Vieni con noi ti daremo la possibilità di diventare
ricco..
Volpe: Ricchissimo..puoi comprare una casa grande…
Gatto: Grandissima..e farai felice il tuo papà.
Pinocchio: Ma, voi siete sicuri sicuri..
Volpe: Certo che ne siamo sicuri..
Gatto: Eccome se ne siamo sicuri.
(La scena ritorna nuovamente sulla nonna e il bambino)
Nonna: Pinocchio che non era stupido capì
che c’era qualcosa di losco nei due
personaggi e tentò di fuggire. Tutto fu inutile, i due malfattori lo
raggiunsero, lo legarono e gli rubarono tutto il denaro, lasciandolo in mezzo
al bosco.
Bambino: Allora la fiaba finisce qui?
Nonna: No, mio caro, a
questo punto intervenne la fata che lo liberò permettendogli di continuare il
cammino. Strada facendo Pinocchio ancora timoroso per la brutta avventura,vide
una bellissima casa, vi entrò per chiedere conforto e con meraviglia scoprì che
la padrona di casa era la fata Turchina.
A lei raccontò la sua disavventura, arricchendola di bugie. Come per incanto il
naso si allungava ad ogni bugia..
(La scena ritorna sul palco, scenografia la casa della
fata;Pinocchio seduto su un letto la fata è seduta
vicino).
Pinocchio: Quando sono
arrivato a scuola ho ripetuto tutta la lezione di storia al sig. maestro ( il naso si
allunga un po’) poi ho eseguito un compito scritto così bene che il
sig. maestro mi ha dato dieci( il naso cresceva ancora), alla lavagna ho scritto..(il naso cresceva a dismisura e
Pinocchio se ne accorse) Ma, cosa mi sta succedendo? Il mio naso è
diventato lungo lungo (piange) adesso come faccio..
Fata: Pinocchio
Pinocchio, le bugie non si dicono, hai dimenticato cosa ti ho detto quando eri
un burattino? Tu lo sai che hai fatto tanto soffrire il tuo papà che poverino
ti sta cercando dappertutto?
Pinocchio: (piangendo)
Io non volevo, io non volevo vendere l’abbecedario per andare da Mangiafuoco (il naso si
rimpicciolisce) con il denaro che mi ha dato volevo comprare una
giacca nuova fiammante a mio papà (il naso rimpicciolisce ancora) poi il
gatto e la volpe mi hanno ingannato e derubato, io non posso farci niente..(piange e si
dispera).
Fata: Vedi che il
tuo naso è ritornato come prima? Si vive meglio ad essere sinceri e leali e tu caro Pinocchio devi promettermi
che da oggi in poi ti comporterai bene
con tutti, andrai a scuola e non dirai mai più le bugie.
Pinocchio: Si, fata
lo prometto, sarò un bravo bambino.
Nonna: L’indomani
Pinocchio si recò a scuola…con un bel vestito e un paio di scarpe nuove…era
contento ed aveva buone
intenzioni…voleva imparare a leggere e a scrivere . Pensava poi di ritrovare
Geppetto che per cercarlo era incappato
in brutte avventure.
Bambino: Ma, scusa nonna,
adesso la fata può aiutarlo, Pinocchio ha deciso: vuole diventare un bravo
bambino…
Nonna: Aspetta, non avere fretta…la fata sa
quando e come intervenire…
Caro il mio bel bambino, devi sapere che non è
possibile modificare il corso del nostro
destino. Pinocchio deve crescere, deve fare le sue esperienze anche quelle
pericolose.
Bambino: Ma, se dovesse avere bisogno la fata lo aiuterà?
Nonna : Certo che interverrà, ma
senza farsi scoprire.
Bambino: La Fata come farà a sapere che Pinocchio ha bisogno di aiuto,
chi l’avviserà ?
Nonna: Devi sapere che
un grillo speciale accompagna sempre Pinocchio, lo guida lungo il suo cammino e
in tutto ciò che fa.
Bambino: Dunque il grillo riferisce tutto alla fata?
Nonna : Proprio così. …Ho perso il filo del discorso…cosa stavo
dicendo?
Bambino: Che Pinocchio si recò a scuola.
Nonna : In classe
conobbe i suoi compagni: Paolo, Francesco, Luigi, Domenico………. e Lucignolo.
Lucignolo era un ragazzo molto indisciplinato, non aveva voglia di studiare e
si comportava male. Purtroppo diventarono buoni amici. Lucignolo una mattina
decise di marinare la scuola e coinvolse Pinocchio:volevano visitare il famoso paese dei balocchi.
Bambino : Il paese dei balocchi? Perché esiste un paese dei balocchi!
Nonna : Nella realtà
non esiste, ma noi stiamo raccontando una fiaba. Il paese dei balocchi era un
posto bellissimo, c’erano giochi di ogni tipo,
gelati, dolci di ogni gusto..ma, soprattutto non c’era la scuola.
(Si cambiano le luci e la scena si sposta
al centro del palco. In scena sono
Pinocchio, Lucignolo ed altri
bambini che giocano, cantano e ridono, altri
si burlano della maestra) ( sottofondo musicale con una marcetta allegra)
Lucignolo : Pinocchio
dimmi quanto fa tre per due?
Pinocchio : Sei.
Lucignolo: Bene l’asino che sei. Aaaah!
(Ballano e girano in tondo
facendo un gran baccano. Tutti scherzano in un angolo del palcoscenico.Entra in
scena il grillo.)
Grillo: (Rivolto al pubblico)
Buona sera a tutti ai belli e ai brutti, vecchi e bambini, ammogliati e
signorini. Io sono il grillo, sono la coscienza di Pinocchio, ho il compito di
guidarlo per la dritta via, ora però… sono stanco di Pinocchio fa sempre di testa sua, è testardo come un
mulo, non mi vuole ascoltare ( canta la canzone del grillo: sono un grillo canterino…). Il
Paese dei balocchi è un mondo irreale, tutta un’illusione, e come tale destinato non soltanto a finire, ma a finire
in malo modo. Infatti nelle bevande consumate durante le feste c’era una
sostanza malefica che trasformava i bambini in ciuchini…si avete capito bene,
proprio in asinelli.
(Mentre il grillo parla i
bambini cominciano a trasformarsi
ragliano, indossando
lunghe orecchie
di asino .)
Vedete cosa sta succedendo? (sul palco si crea una gran
confusione tutti scappano, resta al
centro della scena soltanto Pinocchio
che piange)
Pinocchio: Papà, papà, cosa ho combinato…aiutami tu per favore…fata
tu che sei come una mamma..aiutami io non volevo..come faccio ora..Mi sono
fatto tentare ancora una volta..perché non mi hai aiutato (piange disperatamente).
(Ritornano in
scena la nonna e il bambino.Iil grillo si avvicina ai due ed ascolta non
visto
scimmiottando la
loro conversazione.)
Bambino : Che brutta fine ha fatto…(con voce triste)povero
Pinocchio…come farà adesso?… La fata poteva aiutarlo…non è giusto però.
Nonna : Non
dare la colpa alla fata, è stato Pinocchio a cacciarsi nei guai, lei lo aveva
indirizzato bene, si è comportata come una vera madre. Devi sapere che i guai
per Pinocchio non sono ancora finiti, anzi…
Bambino : Ancora guai?
Nonna : Ancora,
ancora…(cambiando
tono) Pinocchio, diventato asinello è stato venduto ad un circo
equestre che poi lo ha rivenduto ad un mercante che aveva deciso di fare con la sua pelle un tamburo…
Bambino : Ma, nonna è
tremendo quello che è successo al povero Pinocchio…quasi quasi non mi piace più
questa fiaba.
Nonna : Ma tu cosa
credi che nella realtà quando una persona commette uno sbaglio poi si possa
risolvere tutto in un batter d’occhio? Senza pagarne le conseguenze sperando
nell’intervento di una fata. No! Mio caro non è così, la vita purtroppo
molto spesso è crudele…ma, ritorniamo al nostro Pinocchio…
Il mercante lo legò per un piede
e lo buttò in mare per farlo affogare…
Bambino : Ma nonna questo è troppo..lo ha ucciso.
Nonna : Se non fosse intervenuta la provvidenza………..
Bambino : La fata.
Nonna : La
fata con l’aiuto del grillo.
(intanto il
grillo si entusiasma e mima movimenti da eroe).
Un branco di pesci ha divorato
la corda che legava Pinocchio liberandolo. Mentre passava una enorme balena che vedendolo pensò di farne un boccone.
Bambino e grillo insieme : Adesso basta, questo è troppo, hai esagerato.
Nonna: Tranquilli,
tranquilli, proprio adesso viene il bello.
Bambino e grillo: Meno male.
Nonna : (rivolta al pubblico)
Diteglielo voi chi incontra dentro la pancia della balena. Il Pubblico: Geppetto!
Nonna:
Hai sentito, conoscono la fiaba.
(Si apre nuovamente
la scena..l’ambiente è la pancia della balena, dove ci sono cassette di frutta
e
suppellettili
varie,disteso su un giaciglio c’è Geppetto.)
(Pinocchio
entra inciampando si guarda attorno spaventato)
Pinocchio
: Ma dove sono finito? Che roba è
questa (dà un
calcio alle cassette, si muove circospetto) ma..ma..ma questa è la
pancia della balena, mi ha mangiato, e adesso come faccio, come faccio ad
uscire, questa ora mi digerisce (grida disperato e piange)…Cosa ho fatto per meritare tutto
questo?, aaah! che nervi ho, mi
prenderei a schiaffi, a pugni (mima tutti i movimenti), a calci (cade a terra)…perché
non ho dato ascolto al grillo, alla fata, al contadino, al maestro, ai miei
compagni (con
espressione da burlone) mii quanta gente che non si fa gli affari
suoi (ricomincia a
piangere)…(Ad un tratto vede una candela accesa che illumina Geppetto).
Ma, cosa c’è…(si alza, scivola e cade di
nuovo guarda meglio) questo
chi è? Non sono solo c’è qualcuno, sono salvo, sono salvo…(si rialza ancora una volta,
ricade, scivola;finalmente raggiunge il letto e si accorge che l’uomo è
Geppetto).
Pinocchio: Papà…sei tu? Proprio tu? ( intanto Geppetto si sveglia
e mentre incredulo si stropiccia gli occhi Pinocchio lo abbraccia forte.
)
Geppetto: Pinocchio,
pinocchino mio, tu qui?…
( si abbracciano e
saltellano, rotolando per terra.)
SSSSSSSS!Fermo!Fai piano! Se facciamo rumore
la balena si sveglia e poi sono guai…se si mette a nuotare mi viene il mal di
mare.
Pinocchio:
( parlando in fretta) Papà cosa fai tu qui? Come sei venuto a finire dentro
la pancia della balena e perché sei vestito così? (era vestito con una giubba da ammiraglio)…
Geppetto: Calma, una domanda per volta, parli a
raffica come mia suocera…calma..calma..( parla veloce) piuttosto tu cosa fai
qui, dove sei stato durante tutto questo tempo? Cosa hai fatto? Come mai hai la coda d’asino?
Pinocchio:
Meno male che ero io a fare le domande a
raffica come tua suocera.
Geppetto e Pinocchio insieme :
Basta !Non litighiamo più ora che
ci siamo ritrovati
( si fanno
una risata insieme)
Geppetto: Che
bello essere con te..be! Certo non è il massimo, non è casa nostra…però è
accogliente non ci manca niente, il pesce è sempre fresco…si fa per dire
..certo si balla
un po’ ogni tanto ma pazienza, speriamo di non essere digeriti.
Pinocchio:
Ma papà..siamo dentro la pancia di
una balena..rischiamo di essere digeriti da un momento all’altro, non vediamo
il sole, le cose belle che la natura ci regala, siamo inutili, dobbiamo uscire
da qui, dobbiamo giocare, ballare, cantare (preso dalla foga inciampa e la balena comincia a
svegliarsi, comincia a starnutire, tutto balla)
Geppetto: Hai
visto si è svegliata, adesso comincia a muoversi, e si balla eccome se si
balla.
Pinocchio:
Vieni dobbiamo uscire da qui, subito
( nel trambusto i
due escono di scena)
Bambino: (tutto d’un fiato) Ma nonna, sono riusciti
a fuggire, a scappare dalla pancia della balena, a salvarsi, come hanno fatto a
raggiungere la riva?
Nonna: Anche tu fai le domande a raffica?
Che succede in questa fiaba c’è un virus logorroico.
Bambino: Ma,
nonna non cambiare discorso rispondi non saranno mica morti?
Nonna: Basta, calmati, non è successo niente
di grave anzi, la fata Turchina ha mandato un enorme pesce tonno che ha
caricato Pinocchio e Geppetto sulle pinne dorsali e li ha trasportati a riva. (soddisfatta) Ohh!
Finalmente è finita.
Bambino: Nonna
non è ancora finita.Racconta…
Nonna: Come
non è finita..certo che è finita, sono certissima.
Bambino: Manca
la parola magica.
Nonna:
La parola magica?
Bambino: ( cantilenando) Nonnaaa?
(Si alzano, vanno verso il
pubblico coinvolgendolo)
Insieme: E
vissero…(invitando
il pubblico)
Tutti: Felici e contenti.
(Canto Finale)
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
(commedia quasi
musicale molto liberamente tratta
dall’omonimo brano di
W. Shakespeare da Rosario Guzzo)
( atto unico in due scene)
SCENA
1
(Siamo ad atene
nel V secolo a.c. Ambiente: la casa di un nobile greco, arredamento in stile
d’epoca, tutti i personaggi sono vestiti con
abiti d’epoca)
Sipario aperto
tutto al buio di sottofondo la canzone
l’Amuri di Cucchiara
Intanto si
posizionano due attori, che alla
fine della canzone illuminati a spot recitano l’Amuri di
Martoglio.
Il Balletto è
già posizionato, parte la musica greca,
di seguito escono le ballerine ed entrano: Ermia con altre ballerine che
ballano e cantano “Dimmi come”
(Entra il padre di Ermia , tenta di persuadere la figlia a sposare
Demetrio)
Padre: (irrompe con Tono alterato ) Allora!
oggi dovrai convincerti. Io con te non c’è la faccio più. Non né posso più, ti
sei permessa di rifiutare la mia scelta, non dimenticare che io sono tuo padre,
e ho il potere di decidere su di te.
Ermia: (con aria accattivante) Papino, papino caro,
io voglio sposarmi, ma nò cu ddu sturdutu di Demetrio (gridando) e poi la vita
è mia, solo mia, me la gestisco io!
Padre: Ma chi tua e tua, ma chi dici? Ti pari chi
semu ‘nta l’Amerika? Qua, la legge c’è! È non si discute.
(suona il
campanello) entra il Paggio.
Paggio: Padrone ho fatto la spesa, ho preso uova,
carne, carcucciuli, scuzzulunati, ½ kilu
di caccami e 10 mazza di pitrusinu. Potrei preparare…
Padre: (suona il campanello il paggio va a vedere
chi ha suonato)
cu era a la porta.
Paggio: Ah si… il Duca (con aria superficiale)
Padre: Comu lu Duca? Il nostro Sindaco, la persona
più importante di Atene? E tu, brocculu a stufatu, lu dici comu si fussi un
ilota qualsiasi? Fallu trasiri, fallu trasiri subitu! (rivolto ad Ermia,
pensoso) Eppuru, cade come il cacio sui maccheroni. Ora ci lu dici a lu Duca e
ti la spidugghi cu iddu.
(Entra in scena il
Duca)
Duca : Buongiorno, buongiorno signori. Vi vedo
tramazzati…
Ermia: (si inginocchia e prega il duca)
Signore, voi che
siete la legge, voi che siete Zeus sulla terra, voi che siete la sapienza, la
giustizia, la bontà (tono ammaliante), la bellezza. Fate che io non convoli a
nozze con Demetrio. Io non lo amo.
Duca : (stupito) Ma dolcissima Ermia, cosa stai a
vaneggiare! Io non capisco il significato delle tue parole.
Padre: (rivolto al duca) Mio signore, credo che ci
sia bisogno di una spiegazione.
Duca : Mi illumini (atteggiamento berlusconiano)
Padre: (spiega cantando la canzone Marina:
Lei si è
innamorata di Lisandro- Lsandro è un ragazzo un poco strambo- Quandò cammina si
annaca tutto- e di famiglia povera lui è-una ragazza che deve sposarsi- al
padre sempre lei deve obbedire- latradizione deve rispettare- e non di testa
sua lei deve far—O Ermia o Ermia o Ermia, Demetrio tu devi sposar. O mia cara
figlia- ancor non hai capito- Demetrio sposerai si, si, si, si, si.-O mia
bella figlia-ancor non hai capito- che
qui comando io e Lisandro lascerai.
Duca: Adesso ho capito, tuo padre ha
perfettamente ragione. Secondo la legge Bossi-Fini, articolo 31, comma 5221
della 25° olimpiade prima di Cristo, la
figlia deve sposare il giovane indicato dal padre. Pena la decapitazione.
Ermia: (canta la canzone non ho l’età) Non ho
l’età, non ho l’età per morire non ho l’età per finire (bis) così e non avrei,
non avrei nulla da dire perché sapete molte più cose di me. Fate che io viva un
amore romantico nell’attesa che venga quel giorno, ma ora no, non ho l’età, non
ho l’età per morire, non ho l’età per finire (bis) così. Se voi vorrete, se voi
vorrete liberarmi un giorno avrete tutto il mio amore per voi, fate che io viva
un amore romantico nell’attesa che venga quel giorno, ma ora no, non ho l’età,
non ho l’età per morire, non ho l’età per finire così.
Duca:
(canta la
canzone: quando, quando) Allora dimmi la verità? Perché non lo vuoi sposar,
l’anno, il giorno, l’ora in cui tu forse ci morirai ogni istante attenderò fino
a quando, quando, quando, tu Demetrio sposerai e a papà felice farai.
Se vuoi dirgli di no
sai che fine farai non ha senso per me, morire ma perché.
Dimmi quando
deciderai dimmi quando, quando, quando l’anno, il giorno, l’ora in cui quando
tu deciderai
Hai
36 ore di tempo per prendere la giusta decisione. (escono dalla scena e resta
solo Ermia).
Ermia: (sbattendo i piedi e piangendo) non né posso
più, voglio morire, non né posso più di questa legge. Odio mio padre, odio il
duca, odio Demetrio, odio Doson
Creach… (no quello no). (tirandosi i capelli) ‘na stu mumentu mi tirassi lu
parrucchinu. Non posso lasciare lui, la luce dei miei occhi, la gioia di lu me
cori, Lisandro.
Mi
butto, mi suicidio (affacciandosi al balcone). Ma c’è la frigidità! .
(intanto si sente la
voce di Lisandro che canta: buonanotte fiorellino)
Ermia: Lisandro mio dolce amore qual funesti giorni
ci attendono. Quanti dolori sopportare a causa di una ingiusta decisione! Mio
padre e il duca mi vogliono costringere a sposare Demetrio, altrimenti verrò
decapitata.
Lisandro: Non ti preoccupare, io sarò il tuo
sposo, vieni baciami( muove le labbra).
Ermia: No , ho l’irpef nel labbro.
Lisandro: Dai spupazzami tutto.
Ermia: Giuiù allura unnà caputu nenti, o Demetrio o
la isterna!
Lisandro: Calma, senza correre. Organiziamoci.
Questa legge iniqua vige solo qua ad Atene. Al di là del bosco c’è Adrianopoli
dove non esiste questa legge. Fuemuninni! chi fuiri ‘un è briogna, è salvamentu
di vita.
(Canzone torpedo
blu) balletto
Vengo
a prenderti stasera sulla mia torpedo blu automobile sportiva che nel bosco và
come un tren, già ti vedo in pigiamino con in mano un fagottino, un ti scurdari
li stivali e la cesta cu li favi, indosserai una tuta bianca e un cappellone al
capon e col tuo pigiamino a strisce mi accenderai il sigaro.
Escono di scena e si
abbassano le luci, si cambia scena a sipario alzato
Sogno di una notte di mezza estate seconda scena
(Siamo nel bosco si aprono
le luci wood, poi luci blu, il balletto è già sul palco)
Balletto Il Giardino Segreto
Narratore: Ermia e Lisandro arrivano nel bosco quando le ombre dei grandi
alberi cominciavano
a diventare più lunghe e più
nere, le rose selvatiche iniziavano a chiudere i loro occhi d’oro e, nella tiepida oscurità estiva, si sprigionavano,
dolci e intensi, i profumi dei fiori notturni.
Ermia e Lisandro
s’inoltrarono nella foresta, ma non erano soli. Demetrio veniva dietro di loro
inseguito a sua volta dall’infelice Elena. Il bosco era abitato dalle fate come
quasi ogni bosco.
Quella notte erano presenti
Oberon e Titania, re e regina di quel mondo fiabesco. Essi, che avrebbero
potuto vivere felici per sempre, avevano incrinato la loro gioia perenne con
uno stupido bisticcio. Così, invece di essere attorniati da sudditi festosi ed
insieme danzare, giocare e cantare al chiaro di luna per tutta la notte, il re
con il suo corteo andava in giro in una parte del bosco, mentre la regina con
il proprio seguito in un’altra.
( il narratore è
accompagnato da un musico che mentre il narr. Parla fa finta di accordare una
lira)
( rivolgendosi al musico: ma
che fai suoni la lira? Ormai è passata di moda, cambia strumento!)
Escono dalla scena
( sulla scena entrano i due
gruppi che si scontrano di spalle)
Oberon:
ma guarda un pò in chi mi sono andato a imbattere ( ironicamente), quale
stupenda visione si rrange ni li me vavareddi di l’occhi. Titania, attezzosa,
gonfia di presunzione e di orgoglio, essere insulso, serpente!!!
Oberon canta Malafemmina
Titania: Malafemmena io? Io che sono la regina, io che sono il supremo fiore
del bosco.
Oberon: Supremo fiore? Crisantemu e ciuri di scoddu!!
Titania: Come ti permetti di ingiuriarmi così in malo modo tu che, grazie a
me, dalle stalle sei arrivato alle stelle? Ti lu scurdasti quannu li carrubbi
ti parianu pavesini?
(
dà una sonora sberla a Oberon)
Oberon
: (piangendo) Ma comu un timpuluni mi mittisti? A mia? Picchi? Chi ti fici? Un
paggio ti ho chiesto, un semplice ragazzino, (rivolto al pubblico) ci pagu puru
li contributi, ci versu li marchi e accussi pigghia la disoccupazioni!!
Titania: No! No! No! Il paggio non te lo dò. (gira e se ne va).
( Oberon resta come un
allocco piangendo)-( dun tratto con un librone intento a scrivere, con gli
occhiali sul naso entra Dante Alighieri)
Dante:
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura...
Oberon:
( che lo guarda stupito) Ma tu Chi sei!! Cosa fai!! Qui siamo nella commedia
“Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare...tornatene da dove sei
venuto e abbota quella porta che entra un veleno!!
Dante:
(Guarda il pubblico, poi Oberon) Mah!! (esce di scena).
Oberon:
(rivolto al regista) Ma sig. Regista che cosa centra Dante Alighieri!! Chi ci
capisce è bravo.
( Oberon riprende a piangere
come prima, poi chiama a Puck il suo fedele servitore, che spesso e
volentieri è sempre ubriaco) Puck, dove
sei vieni qui!!
Puck:
( che ubriaco canticchia una canzone) Chi mi chiama, EAK! EAK! Che volete da
me, Perchè piangete? Cosa vedo sul vostro viso? EAK! E’ forse una lacrima? O
forse due? O ci vedo double-face!!
Oberon:
(rivolto a puck) Ma come puoi stare sempre attaccato quella bottiglia. Un bravo
picciutteddu come te che beve! Non lo capisci chi l’alcool ti percia li vudedda
e ti spappola lu ficatu! ( Puck annuisce) Ma finiscila, lamprittuni, a la tò età avissi a essiri sempre lucido, no cu
l’occhi a pampinedda. Come posso fidarmi di te che non hai il coraggio di
abbandonare la bottoglia?
Puck:
No, stai tranquillo. EAK! Riesco a controllare il vizio.
Oberon:
Si! Controlli! Picchi è la prima vota chi tiri dirittu nta li curvi, haiu la
mula tutta ammaccata.
Puck:
mettimi alla prova ( fa le prove neurologiche sbagliando tutto) basta chi mi
lavu la facci e sugnu a posto.
Oberon:
Ma che Zeus ce la mandi buona! Mio buon Puck! Va’ a cercare per me il fiore “amore al risveglio”.
Poi prepara un succo con questo fiorellino rosso e spalmalo sulle palpebre di
Titania, quando dorme. Così quando si sveglierà amerà la prima cosa che vedrà,
fosse pure un leone, un orso, un lupo, un topo o uno scimmione, così potrà
vedere di cosa sono capace e rideremo, vedrai che rideremo.
(escono di scena)( Puck va
barcollando e inciampa)
Puck:
Ho caduto!!!
Oberon:
(lo guarda, e lo aiuta a rialzarsi) sono caduto!
Puck:
Anche tu sei caduto?
Oberon: Sei sempre il
solito. Lascia quella bottiglia e corri ad eseguire il mio comando!!
( entrano Lisandro ed Ermia,
Ermia stanchissima si ferma e si mette seduta a terra)
Ermia:
Moru Lisandrù non c’è la faccio più, haiu li pedi chi mi fannu mali ( si toglie
una scarpa)
Lisandro: Ma chi fa ti levi la scarpa? Vò fari siccari la foresta? ( si tappa
il naso come se sentisse puzza)
Ermia:
Ma, un lu vidi chi m’affacciaru li cipuddi!
Lisandro: Un ti livari la quasetta, va si nò sti beddi ciuri siccanu.
Riposiamoci un pò, siamo molto stanchi.
( Ermia
piange per la stanchezza)
( cantano la canzone Non Amarmi)
Ermia:
Moru, moru mi calà lu sonnu ( si abbracciano e si addormentano)
( entrano in scena Demetrio
ed Elena che inseguono Ermia e Lisandro. Demetrio non è contento della presenza
di Elena e cerca di dissuaderla a non amarlo)
Elena:
Demetrio, Demetriuzzo mio perchè non mi ami, non andare dietro a Ermia, lei non
ti merita.
Demetrio: Chi dici?
Elena:
Io sono una bella ragazza, alta, slanciata istruita e ricca.
Demetrio: Ora no!!
Elena:
(facendo la passerella) ma guardami... guarda che stitichezza ( fa una
piroetta) come vado di corpo?
Demetrio: Bona va di corpu! Ma la vò finiri, lassami iri, VATINNI!!!
(esce di scena)
Elena:
(piangendo e disperandosi) Ohimè! Me tapina! Povera sventurata! Cosa sarà di me
senza il mio Demetriuzzo? ( sconsolata si mette a terra e si addormenta).
Musica con balletto “ Eppur mi son scordato di te”
( Entra in scena una maga
con in mano un librone una caldaia e
una coffa) Canta la canzone mimandola.
Maga:
Eppur mi son scordato cos’è- come ho
fatto non so-Una ragiune vera non c’è – e la vicchiaia però-Un tuffo dove
l’acqua è più blu- niente di più-Ma che disperazione , nasce da una
distrazione- era un fuoco, non era un gioco-Chi centra lu salami cu la pasta cu
li favi- E’ una ricetta chi un funziona- Ma lei lo ama e lo ama veramente.
Maga:
Un rospo, una coda di spaturno, una coppia di corna di babbaluci, cinque foglie
di erva di ventu, na manciata di pizzingonguli, occhi di puci di scecca,
radichi di giummara..ma..li radichi di giummara ...li pozzu truvari cà? Ho
l’impressione che la ricetta del filto d’amore sia sbagliata, si, per forza
sbagliata deve essre, perchè in questo bosco la radica di giummara non può
esistere...userò l’antica ricetta di LU ZU MARIANU...ma si..tantu, megghiu lu
tintu canusciutu chi lu bonu a canusciri!! ( prende alcune cose dalla coffa e
comincia a pestarle dentro un mortaio, poi le versa nella quadara. Recita una
formula magica).
( Intanto Elena si sveglia e
accorgendosi della maga vuole conoscere il suo futuro)
Elena: Ta
là! Quella
della televisione, Tamara la maara. Ora mi faccio leggere la mano e vediamo
cosa mi riserva la sorte.
Canta la canzone Zingara
(intanto si mettono una di
fronte all’altra e la maga comincia a leggere la mano di Elena)
Maga:
Come ti chiami?
Elena:
Elena
Maga:
Quanti anni hai.
Elena:
Ventiquattro
Maga:
Da dove vieni?
Elena:
Da Atene
Maga:
Quale problema ti affligge?
Elena:
Sono innamorata di un giovane che non ricambia i miei sentimenti, Demetrio è il
suo nome.
Maga:
Quanto porti di scarpe?
Elena:
Quarantaquattro, e sono alta un metro e sessanta!
( la maga si concentra)
Maga:
Dal fluido che emana la tua mano e dalla lunga linea della
vita...percepisco...che tu ..ti chiami Elena, provieni dalla grande citta di
Atene, dove sei nata cinque lustri fa. Il tuo cuore palpita per un giovane che
si chiama....che si chiama...vediamo..ecco! Si proprio lui..Nicastro...no
Policastro! ...No! Castrenzio,
Bracido..sii Demetrio.
Elena:
( al pubblico) Ma come è brava...sà tutto!!! (rivolta alla maga) Allura allura
qual è il mio destino? Mi lu pozzo maritari a Demetrio?
Maga:
Aspetta , non avere fretta, vedo la linea dell’amore che è tortuosa, piena di
scaffi.
Elena:
Allora non lo sposerò!!! Nenti ci fà!
Maga:
No bedda! A tutto c’è rimedio. Proprio ora ho preparato un filtro
potentissimo...finora nessuno è mai sfuggito alla mistura di lu zu MARIANU
(risata satanica) Ora tu vai a riposare accanto a Demetrio, al tuo risveglio
vedrai che il tuo sogno si avverrà. E poi come si dice...se sono
fiori...fioriranno...se sono more..moriranno...se sono cachi...(risata
satanica)(Escono di scena)
( Entra sulla scena il
narratore accompagnato dal suo fidato musico che tiene in mano un’arpa)
Narratore: Intanto Puck, sotto invito della maga, si reca nel bosco per spalmare
il succo amore al risveglio sulle palpebre di Demetrio, affinchè si innamori di
Elena. Ma, nel buio della notte lo spalma sugli occhi di Lisandro. ( guardando
il musico che tutto contento è intento ad accordare lo strumento) L’arpa..ma
lascia stare..( il musico sconsolato e deluso esce di scena)
(Intanto sulla scena entrano
Elena, Lisandro che vedendola si innamora subito)
Lisandro: Cosa vedono le mie pupille!! Il sole, la luna! Tutti i pianeti della
costellazione! La via lattea!
Elena:
Chi dici?
Lisandro: Come, tu sei la mia stella, la mia vita, lu me pani cunsatu ( va per
toccarla e si inginocchia) ( Elena scappa e Lisandro la segue)
( Entra in scena Puck)
Puck:
Ma chi fici! Cosa ho combinato. Chi tragedia (si guarda in giro e vede Demetrio
che dormiva, e cerca di rimediare spalmando il succo sui suoi occhi)
Puck:
Ta là ma quello non è Demetrio? ( si avvicina e spalma il succo ed esce). (
Demetrio sta per svegliarsi) (Intanto sulla scena entra Elena inseguita da
Lisandro)
Demetrio: Elena amore mio , finalmente ti vedo! Dove corri sono qua, il tuo
Demetriuzzo!
Elena:
Chi dici?
(Intanto entra Lisandro)
Lisandro: Finalmente ti trovo: Elena amore mio.
Demetrio: Come amore mio, questa non l’ho capita!
Lisandro: Elena amore mio..
Demetrio: Allura bonu capivi ( va per afferrare Elena , e la tira verso di se)
(intanto anche Lisandro prende Elena per l’altro braccio e la tira verso di se,
nasce così un tira e molla seguito da insulti di vario genere ad libitum).
(AD UN CERTO PUNTO LA SCENA
SI BLOCCA i tre si pietrificano, il cambio di luci agevola la comprensione).
(entra Puck che disperato
per l’errore fatto canta..sul tema musicale di “Non è Francesca)
Puck:
Mi son sbagliata chi ho visto non è –non
era Ermia- ho combinato un casino però- non era Ermia- se non avessi bevutoforse
non avrei sbagliato—ma certo se fossi stata più sobria-non avrei sbagliato son
certa di no—questa bottiglia mi uccide di più- perchè io vivo per lei.
(lancia la bottiglia per
terra ed esce di scena)
( la scena si anima
nuovamente da dove erano rimasti i tre. Lisandro e Demetrio sferrano un pugno a
Elena che stramazza per terra)
Lisandro: Tu lascia la mia Elena, la mia putra.
Demetrio: Tu lascia la mia Elena ( continuano a litigare)
Lisandro: Domani mattina alle sei ti aspetto a lu culazzu di la matrici e ti
fazzu l’occhi nivuri comu li passuluna (Black alive) (econo di scena)
( entrano Oberon e Puck)
Oberon: Disgraziatu chi cuminasti! Ora chi fannu chissi s’ammazzanu? Adesso
dobbiamo sistemare le cose. Domani mattina facciamo calare una fitta nebbia,
così non si trovano e non si sfidano a duello.
Puck:
Bonu mi piaci, così quando saranno stanchi di vagare si addormenteranno e io
potrò spalmare l’antidoto per farli ritornare come prima!
Oberon: Bravu. Tu si chi si omu no to soru ( gli da una pacca sulle spalle)
( Oberon esce di scena)
Puck:
(al pubblico) E non sa che ho combinato un altro guaio! Ho dimenticato di
spalmare il succo sugli occhi di Titania. Non mi resta che aspettare che
ritorni nel bosco... mi nasconderò dietro questa pietra.
(entra Titania)
Titania: Dov’è? Dov’è andato il mio paggio? Voglio sperare che non l’abbia
rapito quel pazzo di Oberon. (cerca nel bosco) Sono molto stanca, non ne posso
più muoio dal sonno, mi riposero distesa
su questo cantone.
Puck:
bene potrò agire ( versa alcune goccie sugli occhi di Titania) ciò che sveglia
tu vedrai con trasporto amar dovrai. (esce di scena)
(entra il narratore con il
suo fedele musico che ha in mano una balalaika)
Narratore: Passava da quelle parti un rozzo contadino di nome Botton, che portava
con sè una testa d’asino, che doveva regalare al duca di Atene..per paura del
bosco l’aveva messa in testa.
( il narratore rivolto al
suo musico: ma che fai suoni la balalaika! Ma lascia stare non è per tè. Il
musico sconsolato e deluso esce con il capo chino)
Botton: (Canticchia per farsi compagnia) Quantu è bella la natura cu lu sceccu
e cu la mula.
( in quel mentre Titania si
sveglia)
Titania: Quale bellezza rara vedono le mie pupille, tutti gli dei hanno
contribuito per creare una così dolce creatura, una creatura di incomparabile
bellezza.
Botton: Chi dici?
Titania: Tu sei savio al dare che bello.
Botton:
Cosa dici? Davvero?
Titania: Non desiderare di uscire da questo bosco, qui restar devi, lo voglia
tu o no...ti amo!
(Titania canta “Sabato pomeriggio”)
Titania: Vieni dunque con me: avrai fate per servirti e per andare a cercarti
mille gioielli preziosi in fondo al mare. Miss-Cusi, Miss-Cantu, Miss-China,
(giungono le fate e fanno l’inchino) siate gentili e cortesi con questo amabile
mortale. Danzate nei suoi passeggi, alimentatelo di fraganti albicocche e di
grappoli vermigli, di verdi fichi e di dolci more. Togliete poi le ali colorate
a leggerissime farfalle per allontanare i raggi della luna dai suoi occhi
addormrntati. Inchinatevi davanti a lui, e corteggiatelo.
Botton:
Chi beddi fimmini, ma lu pani dunni l’accattati.
Fate:
(in coro) Nostro signore e padrone ogni tuo desi derio è un ordine!!!
Titania: Vieni, tesoruccio mio, vieni qui vicino a me che ti riscaldo tutto.
(Cantando) Vieni vieni qui stiamo vicinissimi.
Botton: No! C’è Beautiful, statti cueta.
Titania: Amore mio preferisci qualcosa da mangiare?
Botton: Si, portami: quattru alivi scacciati e un litrottu di vinu.
LA SCENA SI BLOCCA (entra Oberon che commenta
l’accaduto)( al pubblico)
Oberon: Taliati quantu su beddi, parinu du picciunedda.
(Entrano in scena Giulietta
e Romeo, Oberon li segue con gli occhi stupito)
Giulietta: O Romeo, Romeo, ma perchè sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, rinuncia al
tuo nome; e se non vuoi farlo, basta che tu giuri d’essere il mio amore perchè
io non sia più una Capuleti. Solo il tuo nome è nemico; tu sei te stesso non un
Montecchi. (intanto entrano dai lati del palco e si incontrano al centro)
Cantano L’Abitudine. Balletto (alla fine della canzone Oberon commenta)
Oberon: Ma quantu è babbu stu Romeo avi la Giulietta e camina a la pedi! Insomma, è già la seconda che in questa
commedia entrano personaggi che no c’entrano niente ( rivolto al regista) sig.
Regista non capisci niente, la letteratura si studia!!!( adirato e rivolto ai
due) Andate via, qua siamo nella commedia “Sogno di una notte di mezza estate
di lu scientificu, itivinni a lu classicu e di cursa. ( i due escono di scena
mazziati) (Oberon rivolto a Titania e Botton)
Oberon:
Basta! Questo scherzo è durato troppo ( gridando),Puck, attuppateddu chi un
pigghia sarsa, vieni qua porta l’antidoto( mentre Titania abbraccia Botton,
Puck cosparge gli occhi di Titania, la regina si sveglia) (intanto sono entrate
le fate)
Titania: Moru? Ma chi è sta cosa? Stu ladiumi, questa oscenità? Ma che cosa ho
fatto ho abbracciato questo mostro? (Adirata) Chi è stato ad ingannarmi, chi ha
osato prendersi giuoco di me? ?? Oberon, sicuramente Oberon ( si avventa
contro, ma poi d’improvviso si ferma e cambia tono, lo addolcisce) ma no, non
può essere lui, io lo amo.
Puck:
Tu lo ami.
Fata:
Egli lo ama
Tutt le fate: Noi lo amiamo.
Altra fata: Voi la amate
Puck:
Essi si amano
Tutti in coro: Si, noi ci amiamo
LA SCENA SI FERMA ENTRA SHAKESPEARE
Shakespeare: ( entra in scena ed attraversa
il palco, si ferma al centro e guardando il pubblico)
Those hours that with gentle
work did frame (colpo di tosse)
Quelle ore che soavi modellarono- la cara forma ove ogni sguardo
indugia – le faranno fra poco da
tiranne. (Altezzoso) un mio sonetto, il numero cinque. (tono austero) tutto il
mondo è teatro e tutti gli uomini non sono che attori. La mia vita terrena è
stata certamente travagliata, basti leggere la mia biografia, oppure guardare
il film che mi hanno dedicato (tono affrociato) anche se è un pò esagerato. Io
non sono stato un bravo studente di latino, e poi mai avrei immaginato che i
discendenti di quel guelfo...bianco...o nero di Dante Alighiero avrebbero avuto
interesse per i miei scritti,..e..poi..qui allo Scientifico Cipolla...con la
cipolla mi bruciano gli occhi e mi viene da piangere ( si stropiccia gli occhi)
e poi diretti da uno che ha fatto un sacco di confusione...Dante, Romeo
Giulietta, dialetto siciliano, canti, balletti già si è laureato al Cepu, cosa
pretendi di più.
( Tono altezzoso) Sogno di una notte di mezza estate, che fantasia, che
genio sono stato||| Però ho visto che vi siete divertiti, è vero ( se il
pubblico dirà di no, si rivolge alla compagnia: forza ragazzi ricominciamo
tutto d’accapo)....E ALLORA FACCIAMO UN GROSSO
APPLAUSO ( esce dal palco , ritorna subito indietro) Ragazzi avete visto?
Le droghe el’alcool no! Quelle fanno male, quattro risati si! Quelle fanno
bene. BY BY.
Entra il
narratore accompagnato dal suo fedele musico che stavolta avrà una bella chitarra
fiammante e, che suonerà divinamente con lo stupore del narratore e del
pubblico.
Narratore: Tutto ritornò come doveva essere: Ermia e Lisandro divennero una
coppia felice, Elena e Denetrio si dichiararono il loro amore, Oberon e Titania
vissero felici e contenti.
(il musico si esibisce con
uno strabiliante assolo di chitarra, il narratore lo guarda esterefatto, poi lo
abbraccia e si innamora pazzamente. Poi dietro le quinte faranno cose...Ma
quella è un’altra storia).
Si chiude il sipario e si
organizzano le uscite
“Chiedo scusa agli amanti del teatro per tutto
quello che ho combinato. Ma poi…l’importante è divertirsi tutto il resto
è.....”
Rosario Guzzo
…la vita, che è sempre una tragedia,
diventa una farsa quando ci si innamora, quando la volontà cieca e
irrazionale che domina il mondo ci induce a sorridere e a riprodurci,
perpetuando l’umanità e il suo gioco, infinito e ineludibile, di passioni e di
sofferenze…
Schopenhauer
P.S.
Gli attori devono
cantare dal vivo
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