La certezza del nuovo giorno
…quali
strani meccanismi si mettono in moto quando ci troviamo davanti ad una
difficoltà, il pensiero divergente da cosa è regolato, la razionalità è
soltanto frutto dell’esperienza o è regolata da una forza che non dipende
soltanto dal controllo della mente? A tutti è capitato la notte precedente ad
un esame, ad un evento particolare, di avere degli incubi, di non riuscire a
prendere sonno, vedere le ombre formare
delle strane figure, di sognare ad occhi aperti; nel sogno spesso
diventiamo protagonisti di chissà quali
avventure. Ma i sogni sono inconsci! Sono imprevedibili!
Sono
desideri irrealizzabili?
Non
abbiamo paura di svegliarci, perché, nel subconscio la certezza che il nuovo
giorno metterà fine ( nel bene e nel male), ai nostri sogni ci
tranquillizza.
Quella notte,
sentivo uno strano rumore provenire dal mare, ho avuto come un brivido che mi
attraversava lungo tutta la schiena sono uscito dal mio nascondiglio, mi
sentivo come braccato da quello strano rumore. Eppure dovevo essere abituato
a rumori del genere erano ormai tre mesi da quando la mia imbarcazione era
naufragata. Non era la prima volta che, si sentivano le onde infrangersi nella
scogliera, in quelle rocce vulcaniche che calavano a picco sul mare del Nord.
Però l’odore che si librava nell’aria mi faceva sentire una sensazione strana,
mi faceva tornare alla mente vecchi ricordi. Ricordi che ormai cominciavano a
dissolversi come la nebbiolina del mattino, come il vapore dei geiser presenti
sull’isolotto. Quando fui trascinato dalla corrente, dopo il naufragio, per
un giorno o due ero lì inerte, semi
sepolto dalle alghe, in mezzo agli scogli sanguinante per le ferite riportate.
Ricordo, quando ripresi conoscenza che… le ombre del monte che sovrastavano lo
scoglio mi coprivano già il viso. Mi alzai e vidi alcuni granchietti che
correvano qua e là in mezzo ad alcuni tronchi e ai resti della mia barca, una
barca che avevo comprato con i risparmi… si, proprio con i risparmi di tutta
una vita. Ogni mese quando prendevo la paga, conservavo qualcosa in un
salvadanaio, che poi era un vecchio libro “
Il vecchio e il mare”.In mezzo a quelle pagine c’era di tutto: soldi,
cartoline, lettere che mi spedivano gli amici….Si l’avevo comprata a Rotterdam
quella barca …bellissima, dodici metri e tre alberi. Era usata, ma tenuta bene.
Non so da dove mi fosse venuta la passione per il mare. Si, certo andavo al
mare, ma soltanto per rilassarmi, mi sedevo lì sulla spiaggia e pensavo,
leggevo; non ero mai stato a pescare con
una barca, anche se guardavo sempre con invidia quelli che lo facevano.
…Avevo sempre la speranza che
qualcuno mi venisse a cercare, che qualche imbarcazione passasse nelle
vicinanze e mi notasse, mi portasse in salvo. Si è vero …come si dice la
speranza è sempre l’ultima a morire, e io la morte l’ho vista parecchie volte…
Ma quella sera ero convinto che qualcosa sarebbe successo, che qualcosa sarebbe
cambiato, sentivo il battito del mio cuore che accelerava sempre più. Ho avuto
la sensazione che nell’acqua ci fosse qualcosa di strano, mi sentivo
osservato.
Ebbi la sensazione che una grossa ombra mi stesse osservando. No.. non è
possibile che ci fosse qualcuno in mezzo al mare, qualcosa che stesse là in
mezzo alle onde. No!
Ripresi coraggio e ritornai nel mio
nascondiglio al riparo degli spruzzi d’acqua.
Mi addormentai sulle alghe secche
che mi facevano da materasso…
Ricordo che quando mi ripresi dal naufragio feci il giro di tutta
l’isola, per rendermi conto del posto
dove mi trovavo. Mi resi conto che non c’era nessuno, ero da solo. Dico, non
c’era nessuno, nessuno capisci… Mi sono ritornate in mente tutte le letture che
feci da studente, si quando andavo a scuola: Robinson Crosue, Mougli, il
bambino della giungla ed altre storie fantastiche… che il sig. Julius il mio
maestro, leggeva che sembravano vere.
Aveva una voce calda, genuina, si, era proprio una persona sincera, e
spontanea.. Mentre leggeva dal suo librone pieno di storie fantastiche, noi
scolaretti lo ascoltavamo a bocca aperta senza fiatare. A volte anche lui si
stupiva della nostra attenzione, e diceva che: “ è nelle circostanze difficili
che si manifesta il valore di una persona, non bisogna mai arrendersi alle
difficoltà che si possono incontrare nel cammino della vita”. Quelle parole, mi
risuonavano nella mente come una musica, e mi rimbalzavano come una pallina di
gomma lanciata contro un muro. Mentre scoraggiato cercavo qualcuno, qualcosa in
mezzo a quelle pietre taglienti, sentivo qualcosa, che mi saliva da dentro la
pancia, come un senso di vuoto, come un dolore che diventava sempre più forte,
mi mancava l’aria, il cuore mi batteva a cento all’ora. Scoppiai a piangere, un
pianto isterico, gridavo forte per la rabbia, per la disperazione di trovarmi
in un posto privo di vita. D’un tratto alle mie spalle sentii un rumore forte,
mi girai terrorizzato lanciando un urlo spaventoso… vidi come una nuvola di
vapore che usciva dalla terra. Realizzai che si trattava di un geiser… era uno
stupido e puzzoso getto di vapore. Mi accovacciai con la testa in mezzo alle
gambe… e scoppiai nuovamente in un pianto, questa volta di liberazione.
Percepivo che la mia vita sarebbe stata dura da quel momento in poi. Sentivo
sempre più forte le parole del mio insegnante “mai arrendersi…il valore di una
persona, il cammino della vita”… Là vicino allo spruzzo di vapore c’era una
specie di grotta, non era una vera e propria grotta, una malformazione della roccia. Notai che in
quel punto i sassi erano caldi rispetto
agli altri sassi, anche perché guardando in contro luce si vedeva come una
nebbiolina che si levava verso l’alto. Mi avvicinai ed entrai, non era grande
ma, abbastanza per ricavarne un rifugio. Il vento era debole, soffiava da Nord
ed era freddo. Dentro il rifugio mi sentivo al sicuro avvolto da un tiepido soffio
di aria calda che fuoriusciva dalle profondità della terra. Notai, che dalla
pietra che fungeva da tetto gocciolava acqua, d’istinto unii le mani, così a
cucchiaio, e raccolsi un po’ del liquido, lo portai alla bocca e mi bagnai le
labbra, emanava un odore forte di uova marce, era dolce, era acqua potabile.
D’un tratto mi ricordai che il giorno prima mi era parso di sentire un suono
stridulo come uccelli. Ritornai dove ero naufragato e vidi uno stormo di
uccelli appollaiati sulle rocce, altri che planavano e poi atterravano e lasciavano cadere un
pesciolino dalla bocca. Mi nascosi in mezzo a quelle rocce nere come la pece,
come la notte più buia, e cominciai ad
osservare il loro comportamento. Saranno stati un centinaio di cavalieri
dell’aria, bianchi come un lenzuolo, come il vestitino di un bambino appena
nato, li vedevi che prendevano la rincorsa e volavano liberi nell’aria, e poi
ritornavano a gustarsi il cibo che pescavano nel mare. Vedere quelle creature
mi mise angoscia, ho pensato alla mia condizione, mi trovavo lì, in quel posto
in mezzo al mare senza libertà, e probabilmente a causa della voglia di
libertà. Si perché io l’ho cercata la mia libertà con tutte le mie forze, ho cercato di fuggire,
volando sulle onde del mare, si proprio il mare, questo maledetto mare che non
mi ha voluto, che mi ha negato la libertà. Adesso cosa faccio, come farò a
sopravvivere in questo posto così triste e sconsolato e senza cibo?… Caddi in
una profonda depressione: la sensazione di fame che sentivo volò via, non mi
tormentò più lo stomaco… rimasi lì a guardare quelle creature che svolazzavano
nell’aria. Sentii come una musica, dolce, candida, era un’orchestra si proprio
un’orchestra di violini. Mi lasciai trasportare dalle note che risuonavano
nella mia mente. Più guardavo quegli uccelli volare più sentivo sibilare un
suono, sottile, continuo e acuto…sembrava il primo violino dell’orchestra. Era
una musica celestiale.
D’un tratto sentii sul mio corpo
come una pioggerellina, che diventava sempre più forte, più forte e fui
costretto ad alzarmi e cercare un rifugio. Corsi verso la piccola grotta, mi
misi al riparo e dopo qualche minuto mi addormentai. Mi svegliai rattrappito,
irrigidito, nelle gambe sentivo un formicolio, le dita dei piedi erano come di
sughero. Era già buio, mi alzai dolorante ed uscii fuori dal rifugio, mi misi
in piedi sembrava ballassi il twist.
Tutto in torno non c’era niente…buio totale, non si vedeva niente, niente luci
in lontananza, cominciai a girarmi intorno, e giravo e giravo fino a quando non
caddi per terra. Dallo stomaco uscì un urlo silenzioso, un suono afono, era
l’ennesimo grido di disperazione. Nel cielo privo di luce in mezzo alle nuvole
si intravedeva una paurosa luna, che sembrava mi volesse guardare, forse
parlare per dirmi che Lei era lì e non mi avrebbe abbandonato. Io la guardai
con gli occhi gonfi di lacrime come per dirgli come fai ad aiutarmi, tu, che
sei lì in alto? Tu che come me hai bisogno della luce per esistere, come puoi
aiutarmi, come puoi aiutarmi.
La certezza del nuovo giorno mi
diede coraggio, ed affrontai la notte carico di speranza perché la luce mi
avrebbe dato la soluzione. Non chiusi occhio per tutta la notte, cercai di
ricostruire tutto il percorso: “ Sono partito da Rotterdam, due giorni dopo ero
già ad Edimburgo, ho fatto rifornimenti,
ho fatto riparare il timone… che buffo… l’operaio mi ha detto che il timone era
fuori staffa di tre gradi e che se non l’avessi riparato avrei sbagliato rotta
di un miglio ogni cento. Sono riparto alla volta di Rinkobing lungo il 56°
parallelo. Avrei dovuto attraversare in due giorni circa, trecentoquaranta
miglia, la tempesta mi ha travolto al
secondo giorno, si duecentonovanta miglia, quindi, dovrei essere in territorio
danese. Si, certo mi trovo vicino la costa, basta aspettare perché in questo
tratto di mare fanno rotta le flotte mercantili tedesche, danesi, norvegesi e
inglesi. Certo! Sono in salvo basta aspettare… Per tutta la notte non avevo
altri pensieri, appena fatto giorno mi avrebbe tratto in salvo certamente una
nave tedesca…o, danese e magari i marinai esperti mi avrebbero preso in giro “
marinaio della domenica, marinai si nasce non si diventa”. Intanto si fece
giorno, il mio cuore si rallegrò, la nebbiolina si diradava man mano che i
tiepidi raggi di sole illuminavano lo scoglio e il montenero “ così ho chiamato
il pizzo di lava più alto, sembrava un enorme foruncolo”. Per farmi notare
pensai fosse stato meglio salire nella parte più alta dello scoglio. Mi
arrampicai senza difficoltà fino alla cima del montenero, saranno stati cento
metri circa. Mi sentivo felice come un ragazzino, orgoglioso di aver scalato la
vetta, mi misi in punta di piedi…l’aria fresca del mattino mi accarezzava come
la mano di una nonna, era uno spettacolo bellissimo, si vedeva tutto lo scoglio,
le onde che biancheggiavano e che si infrangevano sulle rocce, a Est assumevano
uno strano colore tra l’azzurro e il
grigio, a Sud l’acqua sembrava cristallina, a Ovest e a Nord il colore
dominante era il grigio. A circa un quarto di miglio a Sud dello scoglio c’era l’acqua che brulicava
di pesci e i gabbiani scendevano in
picchiata a velocità paurosa, e
risalivano con in bocca un pesce che si dimenava come un forsennato. Mentre
guardavo quel meraviglioso spettacolo ebbi una strana sensazione, guardavo
intorno, da Sud a Nord, da Est a Ovest, mancava qualcosa, si! Mancava qualcosa.
E che cosa mancava? Era tutto a posto: il mare, gli scogli, le onde, i
gabbiani, era un quadretto completo degno di un racconto, di una fiaba…Mi
scervellai per… non so quanto tempo, non riuscivo a capire che cosa mancasse…
“Ma certo, ho capito cosa manca. IL faro, manca il faro, non c’è un faro. Ma come è possibile mi trovo in mezzo
al Mare del Nord, su uno scoglio e non c’è
niente che segnali la presenza di questo maledetto scoglio, e le navi
che transitano in questo tratto di mare prima o poi si trovano davanti la
roccia! Si schianteranno! Non è possibile che la flotta mercantile di sei stati
possa correre tale pericolo! Non credo che nessuno non abbia mai pensato di segnalare
questo scoglio.” Mentre mi stupivo di ciò, il giorno avanzava, in tutta la
mattinata non era passata nemmeno una barchetta, niente, nè barche, nè
transatlantici. Pensai allora che lo scoglio si trovasse fuori rotta. Intanto
mi era venuta fame, erano due giorni che non mangiavo. Be! Non è che vai al
ristorante, sullo scoglio non c’era niente neanche resti della mia barca.
L’unica cosa commestibile che c’era, si trovava proprio lì davanti me, solo che aveva le ali. Poi non
c’era altro. Anzi no! C’erano i pesci che i gabbiani pescavano e li portavano
in mezzo alle rocce, e poi erano crudi. Scesi il più velocemente possibile
verso il luogo dove i gabbiani lasciavano i pesci; quando arrivai quasi vicino
mi resi conto che stavo facendo una sciocchezza: se mi avvicino tutto d’un
colpo, gli uccelli spaventati voleranno? E se volano via perché spaventati
dalla mia presenza, e se non faranno più ritorno io come farò? Gli unici che mi
possono salvare sono loro, i gabbiani… Devo escogitare un piano affinché non li
spaventi. Aspetterò che faccia buio, gli uccelli con il buio non volano, vanno
a dormire, si ma, con il buio come faccio a vedere dove dormono, e soprattutto
come faccio a vedere dove sono i pesciolini? Intanto credo sia meglio osservare
il loro comportamento, poi fissare dove depositano le prede così posso
facilmente avvicinarmi. Mentre ero lì ad aspettare ed osservare presi di mira
una pozzanghera dove c’erano dei pesci vivi, perché la buca veniva riempita
dagli spruzzi provocati dalle onde che si infrangevano sulle rocce. I crampi
allo stomaco ripresero con intensità sempre più frequente, mentre osservavo
immaginavo come poter mangiare quella manna caduta dal cielo, se togliere le
lische, se squamarli, se crudi fossero gustosi. Ancora una volta mi tornò in
mente il sig. Julius, come avrebbe affrontato la situazione lui, certo con la
sua esperienza avrebbe escogitato un piano sicuro, avrebbe trovato una
soluzione più facilmente, sicuramente perché essendo una persona che ha letto
tanti libri, avrebbe avuto più possibilità; avrà certamente letto da qualche
parte un’avventura simile alla mia, ci sarà stato qualche scrittore che abbia
scritto qualche cosa del genere, sarà accaduto a qualche altro. Io nella mia
vita sono stato sempre tranquillo, non ho vissuto avventure particolari, non
sono uno che ama andare per i boschi,
per le campagne; sono uno che ha sempre
vissuto senza grandi emozioni: si una volta sono caduto con la bicicletta, ma
niente di grave. Non sono stato come
Artur Green, quello si che ne ha combinate, ha sempre vissuto in prima
fila, sempre a cercare nuove emozioni. Nel mio paese non è che ci fossero
grandi cose: una farmacia, un supermercato, un emporio con ferramenta e
calzolaio, un negozietto di abbigliamento, un distributore di benzina e un bar.
Settecento anime nella campagna a poche miglia
tra la grande città e il mare,
fuori pure dall’autostrada, un luogo tranquillo, dove si vive tranquilli.
Durante la primavera, quando i prati cominciavano a inverdire, macchiati dai
colori dei fiori, mi mettevo lì seduto davanti alla mia casetta e guardavo le
nuvole e le montagne. Nell’aria si libravano profumi talvolta intensi talvolta
delicati che mi inebriavano, mi facevano sentire come un bambino dopo aver
fatto il bagnetto.
…Ecco nuovamente i crampi allo
stomaco, qui in mezzo a queste rocce nere, sudicio, con l’unico odore di uova e
pesce marcio a farmi compagnia, ad aspettare che faccia buio in agguato per depredare dei poveri uccelli
ignari delle mie intenzioni. Devo sopravvivere a questa avventura, loro, gli
uccelli devono capire che anch’io ho diritto a vivere e devono aiutarmi… Ma come faccio a farglielo
capire, come glielo spiego, e se poi non mi capiscono, magari non capiscono il
mio linguaggio, eppure dovrebbero capire il linguaggio degli uomini loro girano
il mondo e vedono, ascoltano…. anche se spesso scappano dagli uomini, perché
gli uomini non capiscono il loro linguaggio. L’uomo ha cercato in qualche modo
di imitarli, be! Qualcuno, come Icaro non c’è riuscito, ma, altri si! Altri sono
riusciti, hanno inventato l’aereo! Si, ma, l’aereo dà fastidio agli uccelli,
spesso sono nella stessa rotta e poverini devono desistere. Perché mi pongo
queste domande, sarà la fame, la
disperazione che mi fa vaneggiare, che mi fa pensare a queste assurdità.
Devo concentrarmi, devo essere concentrato se no muoio, e poi il mondo è fatto
così “ pesce grosso mangia pesce piccolo”. Appena buio mi sono avvicinato
lentamente alla pozza, infilai la mano e presi un pesce che si muoveva ancora.
Nessuno si è accorto di niente, come un gatto con passo felpato ritornai al
rifugio, tutto contento con la preda nella mano destra che si dimenava e che
quasi mi scivolava. Mi sedetti in mezzo alle alghe e guardavo la mia cena, si
il mio piatto unico, o l’unico piatto. La luna non era pallida, aveva una luce
particolare, rifletteva sulle squame del pesciolino e gli dava un colore
magico, non sembrava un semplice pesce, aveva l’aria di uno che soffriva, di un
animale che stava per morire. Mi fece pena vederlo soffrire, poi pensai: anche
lui sta guardando la mia faccia, e che cosa vede nel mio viso? Certamente vedrà
un’uomo che in questo momento sta soffrendo, si, sta patendo la fame ed è
stanco. Non esitai ancora e lo appoggiai sopra la pietra più calda nel punto
dove usciva l’aria calda del geiser, dopo qualche secondo non si dimenava più,
era morto. Riuscii finalmente a mangiare qualcosa, ripetei l’operazione più
volte fino a quando lo stomaco finì di borbottare.
Nei giorni successivi riflettei
molto. Pensavo, se quello che mi stava accadendo fosse vero o frutto della mia
fantasia, cercai di ripercorrere gli ultimi mesi della mia vita, non notavo dentro di me segni di squilibrio, il
mio senno sembrava a posto, non erano allucinazioni, io c’ero veramente su
quell’isolotto, veramente ho navigato, non potevano essere fantasie tutte le
cose che mi stanno accadendo, sentivo sul mio corpo fatica,
stanchezza, vedevo il sudiciume, sentivo una puzza forte addosso e su
tutto l’isolotto. No! Non poteva essere frutto di allucinazione, di fantasia.
Di giorno salivo sul montenero con la speranza di avvistare qualcosa, qualcuno,
ma niente, niente di niente, in quel tratto di mare non si vedeva nessuno.
Decisi di tenere la mia mente occupata, cercando di scavare dentro i ricordi: “
Quell’ore che soavi modellarono la cara forma ove ogni sguardo indugia le
faranno fra poco da tiranne, sfigureranno la regal figura”. Un sonetto di Shakespeare che recitava spesso la signora
Danka. Un giorno mi fece vedere alcune foto di quando era giovane: era
bellissima, i suoi occhi erano verde acqua di mare che in mezzo al suo viso
liscio e candido sembrava come fosse stata disegnata da un grande pittore.
“Come diventerò io quando l’estate della vita farà strada all’inverno, potrò
mai restare dentro un sogno, come prigioniero in un cristallo? Il tempo non
s’arresta, imperterrito avanzerà senza pietà”. Lei era ancora bellissima, certo
il suo viso non era come nella foto, ma aveva fascino, emanava una luce
diversa, più calda, diversa dalla fotografia. Aveva paura di non piacere più a
suo marito, si sentiva un’altra persona, si guardava sempre allo specchio,
provava e riprovava i suoi vecchi vestiti e quando ne sentiva uno stretto si
puniva con diete paurose, non stava bene dentro il suo corpo. Io ne ero innamorato
fin da quando ero ragazzino, da quando la mattina le portavo il latte; la guardavo da dietro i
cespugli del suo giardino mentre usciva e batteva fuori i tappeti, aveva la
pelle bianca e profumata come la schiuma del latte. Si era sposata con il sig.
Micol Danka il gestore della stazione di servizio, avevano avuto tre figli, due
femmine e un maschio. Erano una famiglia felice. Io le dicevo sempre che non
fosse giusto questo suo comportamento, il tempo passa per tutti, la natura
deve fare il suo corso, non possiamo rincorrere l’eterna giovinezza,
l’unica cosa che ci fa sentire sempre giovani e la serenità, la voglia di
vivere, anche se le cose non vanno per il verso giusto, dobbiamo sforzarci di
essere felici e vedere sempre le cose buone della vita, c’è sempre un altro
giorno da vivere intensamente, c’è sempre la certezza di un nuovo giorno e
dobbiamo impegnarci a viverlo con gusto e sana voglia di vivere, solo così
potremmo essere felici. Lei mi guardava dall’alto della sua bellezza e mi
diceva: “ hai ragione, tu parli bene perché sei ancora giovane e non sei
prossimo alla tua sera”. Lei, la signora
Danka doveva essere pazzamente innamorata di suo marito Il rifiuto che la signora aveva della realtà mi faceva star male, mi faceva
sentire un essere inutile; pensavo sempre alla stessa cosa: far stare bene la signora Danka.Quando fui
più grandicello però, mi resi conto che sarebbe stato un amore impossibile
quello tra me e la signora, anche perché, lei era sempre più innamorata di suo
marito e questo non mi lasciava nessuna speranza. Poi, in quel periodo era
arrivata, Roxanne, una bellissima ragazza bruna dagli occhi verdi mia coetanea,
che veniva con i nonni a trascorrere i
fine settimana nella casa vicino al ruscello. Che bei ricordi, e quante ne ho combinate
per attirare la sua attenzione, che buffo che ero, comprare il pesci e far
finta di pescarli nel ruscello. Adesso che ci penso: lei lo sapeva, eppure non
si burlava di me…ma!
…Il mondo è bello o brutto in
base a come lo vediamo, o lo vogliamo vedere, è lo specchio del nostro profondo
io, come vivere una vita a nascondersi dietro l’essere o il non essere,
scappare continuamente alla realtà, cercare giustificazioni per tutto. No! Non
dobbiamo preoccuparci di apparire soltanto, per poi scioglierci come neve al
sole davanti alla prima difficoltà…. “ Cosa ci sto a fare il questo posto:
vuoto, privo di vita, su un’isola deserta, dove non c’è anima viva?” Un posto
che non esiste, dove esisto solo io…oppure è la parte nascosta della mia anima,
che mi tormenta …che vuole mettermi alla prova? …Perché poi, mettermi alla
prova, perché avere paura di vivere?
… E’ necessario affrontare i
rischi e le incognite che la vita ci
offre, questo ci permette di crescere, di conoscere, imparare, e
soprattutto vivere bene…che è meglio che vivere
.
Rosario Guzzo
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